Così come ‘rock’, oggi ‘elettronica’ può indicare generi anche molto differenti tra loro. E’ il caso degli ultimi dischi di Darkstar e Hurts, qui a confronto.
di Marina Montesano
Huddersfield è una cittadina inglese, nella quale Aiden Whalley e James Young, che compongono la formazione attuale dei Darkstar, hanno condotto alcune interviste alla gioventù locale; brevi spezzoni del risultato di questi colloqui punteggiano l’elettronica minimalista del loro ultimo disco. Foam Island può ricordare tante cose, da John Foxx a Ryuichi Sakamoto (l’inizio di Pin Secure: segnaliamo il video), ma senza togliere ai Darkstar una personalità propria tanto nelle soluzioni sonore quanto nel cantato sommesso, spesso in falsetto; il richiamo all’Inghiterra contemporanea che le voci da Huddersfield ci propongono non trova cioè nella musica uno sfondo particolare, localistico: ma perché dovrebbe, in un tempo in cui la musica digitale ci arriva indifferentemente da qualunque area del mondo? In un certo senso Foam Island è più suadente che entusiasmante, nel senso che se ci si distrae troppo si rischia di arrivare in fondo al disco; ma l’ascolto attento ripaga con finezze e melodie non banali. Si potrebbe partire dalla title track o dalla ritmica più vivace di Stoke Island per farsi catturare, ma questo è un disco circolare, che si può ascoltare in loop e che alla fine conquista dall’inizio alla fine.
7,8/10
httpv://www.youtube.com/watch?v=2mNmvNfLfCo
Pin Secure
Discorso completamente diverso per gli Hurts, che del massimalismo hanno fatto la loro arma; a costo di far storcere i molti nasi dei molti indie-puristi della musica. A noi i cori e le melodie forti dei primi due dischi piacevano, ma questo Surrender sembra purtroppo fatto per dar ragione ai loro detrattori. E’ come se Theo Hutchcraft e Adam Anderson siano stati colti da una strana fretta che si palesa a partire dal primo brano, Some Kind of Heaven: appena partito e già arriva il coro, ed è più o meno lo stesso in tutti gli altri. Le canzoni sembrano costruite approssimativamente e nessuna trova la forze dei vecchi inni: come Stay, per intenderci; ma anche i momenti migliori di Exile, Sandman e The Road, non si ripetono e Surrender suona piatto, ancorché non spiacevole all’ascolto, soprattutto nel singolo Lights. Peccato perché gli Hurts sembravano aver trovato una buona formula, ma è vero che le formule a un certo punto devono esser messe in discussione, altrimenti stancano: gli ascoltatori ed evidentemente gli autori stessi.
6/10
httpv://www.youtube.com/watch?v=N03wDhoXU-g
Lights