Il ritorno dei Deerhunter
Le frontiere che svaniscono sono, secondo un’intervista rilasciata da Bradford Cox, quelle dell’industria della musica ormai fra declino e tracollo; ma potrebbero essere anche quelle del genere nel quale la band si posiziona: nella loro carriera, i Deerhunter hanno toccato il noise, la sperimentazione, il pop, il garage; non sempre tutti insieme, ma a seconda dei momenti e dei dischi. All’orizzonte, restava il rock americano “indie-classico” del quale Cox si è sempre detto grande fan: dai Ramones ai R.E.M.
Fading Frontier
Con Fading Frontier i suoi Deerhunter sembrano puntare proprio verso quella direzione. A modo loro, che è un modo ellittico e idiosincratico; ma la leggerezza delle nove tracce del disco mostra una sicurezza nuova, tale da poter proporre il suono obliquo dei Deerhunter quale frontiera del rock contemporaneo USA. Gli arpeggi dell’iniziale All The Same aprono benissimo il disco, Living My Life sembra un’ode a una nuova serenità per Bradford Cox, dopo un passato da outsider e un recente incidente, Breaker è pop perfetto, sebbene altrove, come in Leather And Wood oppure Ad Astra, il noise, gli arrangiamenti sghembi tipici della band tornino a galla.
Snakeskin ha un incedere quasi funky, persino sexy, e richiama più da vicino l’ultimo Monomania, sebbene più leggero e, ancora una volta, quasi felice, come il titolo dell’ultimo brano: Carrion. Qualcuno troverà Fading Frontier troppo semplice, rimpiangendo le stranezze dei primi dischi o il nerbo di Monomania. Ma il disco cresce con il tempo e fa venir voglia di un secondo (e poi di un terzo…) ascolto immediato; ch’è poi il marchio di qualità del pop (indie o meno) perfetto.
8/10