di Fausto Meirana
L’atteso seguito di Gentle Spirit, il disco d’esordio di Jonathan Wilson, si chiama Fanfare, e il titolo la dice tutta; il brano omonimo, che apre il disco, è una vera e propria ouverture che parte da un arioso incipit pinkfloydiano per poi distendersi, finalmente, in una più consueta forma-canzone, straniata però a metà percorso da uno stridente assolo di sax che imperversa dietro il cantato. La traccia successiva inizia come un valzerino innocente, tra Elliott Smith e Crosby, Stills & Nash, per deviare rapidamente con un intermezzo ‘interstellare’ tra echi di Grateful Dead e Santana… Il disco prosegue su questi binari senza stancare, sorprendendo qui e là per i repentini cambi d’atmosfera. Il nostro Jonathan sembra aver ben assimilato, un po’ come sideman, ma parecchio dai dischi dell’epoca (la cover di Fazon dei poco noti Sopwith Camel), l’essenza della musica californiana degli anni ’70 e, come si è visto, non solo. Certi suoni danno quasi l’impressione del campionamento (un accordo aperto alla Crosby, una ritmica storta tipo Crazy Horse), tuttavia alcuni di questi personaggi sul disco ci sono per davvero, visto che, come strumentista o esperto di sala, Wilson ne ha incrociato le strade più volte; ecco dunque Crosby & Nash, Jackson Browne, membri dei Wilco e degli Heartbreakers a dare il loro contributo, assieme al sottovalutato Roy Harper, che contribuisce ai testi di alcune canzoni. Nonostante queste premesse, non si pensi ad un abile, esoterico pastiche per soli nostalgici: le canzoni (forse un po’ troppe visti i 78 minuti di durata) suonano contemporanee e raffinate, mentre il suono è curato nei minimi particolari e meriterebbe l’ascolto come una volta; quindi, se state cambiando l’impianto hi-fi (ce l’avete, vero?) portatevi pure questo cd per il test audio.
8,5/10
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Jonathan Wilson: Dear Friend