Loud City SOng

 Loud City SOng

di Antonio Vivaldi

Se per Tragedy si era fatta ispirare da Euripide e per Ekstasis da imprecisati manoscritti medievali, per Loud City Song Julia Holter arriva finalmente alla modernità. Stavolta a fungere da spunto sono il romanzo breve Gigi di Colette, l’omonimo musical di Vincente Minnelli e il ristorante parigino Maxim’s, amato sia dagli intellettuali (Cocteau, Proust) sia dalle star dello spettacolo (Brigitte Bardot).   Ma non basta perché c’è pure il concept: a poco a poco Maxim’s diviene una sorta di Los Angeles da incubo voyeuristico che brucia in un incendio mentre al suo posto sorge una città nuova e ancora indefinibile. Insomma qui si parla di roba spessa e anche i referenti sonori evocano avanguardia  (Steve Reich), elettronica letterata (Laurie Anderson), soft-jazz autoriale (Joni Mitchell fine ‘70) ed epos melodico (Scott Walker). Il guaio è che Julia Holter non sembra veramente discendere da simili quarti di nobiltà e fa la figura di una studentessa che su di loro si sia preparata e voglia dimostrare quanto ha studiato. Loud City Song è pretenzioso e noioso: ogni pezzo  è uno  zaino carico di pensieri alti  o di intenzione  visionaria (un tragico ossimoro) in fondo al quale la musica fa la fine della torta di mele o del panino mozzarella e pomodoro: salvo This Is A True Heart i momenti  melodici non vanno da nessuna parte, salvo Horns Surrounding Me i fiati non incalzano come saprebbero,mentre la cover di Hello Stranger crea il nuovo genere della canzone ingolfata. Al confronto, il pathos cartonato di Lana del Rey è molto più affascinante e, a suo modo, sincero.   

5/10

 

Seguiteci su Facebook:

https://www.facebook.com/groups/282815295177433/

e su Twitter: 

https://twitter.com/Tomtomroc

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=BmT7GKPsxto

Julia Holter- World

print

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.