Il ritorno di un classico: Broken English di Marianne Faithfull.
Chi abbia voglia e tempo di capire come nasce – o rischia di non nascere – un disco importante, potrebbe ascoltare il secondo cd di questa ristampa di Broken English, originariamente uscito nel 1979. Se l’album fosse stato pubblicato con gli original mixes qui proposti si sarebbe parlato di “lavoro interessante in cui l’ex bambola carina dei Rolling Stones ci sorpende con una voce aspra e un repertorio dai toni duri; peccato solo per il suono scolasticamente funky-rock di quasi tutti i brani”. In effetti sembra di ascoltare più che altro missaggi grezzi di pezzi ancora in evoluzione, mentre fu proprio questo il Broken English che rischiò di vedere la luce: “Avevo sentito i missaggi grezzi dove c’eravamo solo io e il gruppo e mi sembravano perfetti” (Marianne Faithfull, Faithfull).
La produzione di Broken English
Ebbe invece ragione il produttore Mark Miller Mundy a insistere perché nel disco intervenisse almeno un sessionman di lusso, Steve Winwood. Grazie a Winwood, a un nuovo missaggio e all’ottimo lavoro del tecnico del suono Bob Potter, il risultato finale fu quello che conosciamo: musica tagliente, secca, scura eppure carica di bagliori; musica a suo modo ballabile ma anche dura nei testi. Ancora oggi Broken English stupisce per la sua unicità: prende spunto dal punk, ammicca alla disco (come il primo Winwood solista) e al dub (come il John Martyn di One World) e sa essere emozionante nella sua apparente glacialità (come tutta l’opera dei Joy Division).
La vita di Marianne Faithfull riflessa nel disco
Naturalmente non è solo il suono a rendere miliare l’album. Fin dai primi secondi colpisce la voce, lontanissima da quella che cantava nel 1965 As Tears Go By, resa roca dalle sigarette e dagli stravizi (in quel periodo la Faithfull era un’eroinomane da paura e per un paio d’anni aveva vissuto in squat terrificanti o addirittura in strada a Londra) e in perfetta sintonia con l’altro elemento decisivo, il repertorio. I brani, scritti in gran parte insieme al chitarrista Barry Reynolds, sono feroci (Broken English, ispirata da uno scritto della terrorista Ulrike Meinhof ), nevrotici (What’s The Hurry) oppure sessualmente espliciti (Why’d You Do it) e si sposano perfettamente alle due celebri cover, l’apocalittica Working Class Hero di John Lennon e la dolente The Ballad of Lucy Jordan di Shel Silverstein.
Ne viene fuori è un concept album forse involontario dedicato a tutti gli outsider, ai disperati e agli sconfitti eppure percorso da un costante, anche se magari velleitario, desiderio di rivalsa. Considerando poi che il suono non è per niente invecchiato, si può ribadre che Broken English è uno dei dischi fondamentali nella storia del rock ed è buffo che, come questa ristampa spiega, abbia rischiato di uscire in una versione depotenziata. Non sempre gli artisti sono i migliori giudici di se stessi.
9,5/10
P.S. Oltre agli ‘original mixes’ di cui si è detto, la ristampa deluxe contiene una notevole Sister Morphine, uscita come singolo e secondo qualcuno migliore di quella degli Stones (forse no) e il film Broken English – Three Songs by Marianne Faithfull, 12 minuti in bianco e nero per la regia di Derek Jarman, classico artista sofferente e geniale e dunque in perfetta sintonia con lo spirito dell’album.