mario-venuti-il-tramonto-occidente

di Renato ‘Campominato’

Il mio interesse verso la musica italiana è quasi scomparso negli ultimi anni, dopo che il fermento nato attorno alla “nuova leva cantautorale” (o qualcosa del genere) è svanito in una serie di copie carbone sempre più sbiadite e le uniche cose degne di nota mi sono sembrate quelle nate da chi ha saputo rinnovarsi in progetti anche coraggiosi, come ad esempio Paolo Benvegnù, Virginiana Miller e Baustelle. Proprio l’incontro tra il leader di questi ultimi, Francesco Bianconi, e l’ex Denovo Mario Venuti (che dopo lo scioglimento del gruppo di Niente Insetti Su Wilma ha portato avanti una carriera da solista più che dignitosa, accompagnata da alcune dichiarazioni pepate nei confronti della cosiddetta musica d’autore italiana) sembrava avere le carte in regola per risvegliare quell’attenzione forse irrimediabilmente perduta. Purtroppo già dai primi ascolti si capisce che le cose non vanno proprio così. Il tentativo dei tre protagonisti (della squadra fa parte anche Kaballà) di fare rotta verso il Battiato de La Voce Del Padrone si perde miseramente in timidi accenni che portano molto spesso più dalle parti dell’evitabile Venditti della fine degli anni 80 (in poi) o, quando va meglio, di un Enrico Ruggeri poco ispirato. Anche la presenza in uno dei brani dello stesso Battiato, che normalmente riesce sempre a dare sempre quel pizzico di qualità in più (come, ad esempio, nell’apparizione sanremese di alcuni anni fa dell’altro Denovo, Luca Madonia) appare sottotono. Dulcis in fundo, uno dei brani storici dei Wilco, Ashes Of American Flags viene imperdonabilmente violentato diventando un insipido Ciao American Dream. Disarmante è anche la banalità di alcuni testi, mentre, se proprio vogliamo cercare qualcosa di positivo, sono apprezzabili l’azzardato accostamento tra la primavera araba e le sonorità psichedeliche in Arabian Boys, la presenza dell’inconfondibile Alice e la voce di Bianconi, sempre più simile a quella dell’ultimo De Andrè, che si fa apprezzare nel dialetto siciliano di Passau A Cannalora (forse l’unico brano veramente interessante del disco, malgrado in alcune parti ricordi Diamante di De Gregori).
Sembra che il 2014 si avvii ad essere ricordato, per quanto riguarda il panorama musicale nazionale, solo per alcuni momenti legati a tristi circostanze, come l’ignobile ricordo della scomparsa dell’ineguagliabile Freak Antoni sul palcoscenico più demenziale del Belpaese, o per progetti troppo sotterranei per guadagnare le luci della ribalta, come quello in cui sono impegnati i mitici fratelli Severini.

4,5/10

 

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Mario Venuti – Ventre della città

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