La canzone d’autore è ormai a guida femminile? Due dischi a sostegno di questa tesi
Il successo indie-globale di Sharon Van Etten con Are We There (2014) e di Julia Holter con Have You In My Wilderness (2015), il timore reverenziale con cui viene accolta ogni nuova uscita discografica di Laura Marling, la trasformazione di PJ Harvey in maître à penser e tanti altri segnali fanno ritenere che in ambito canzone d’autore, così come nel tennis, l’altra metà del cielo abbia quasi compiuto il sorpasso sulla controparte maschile. D’altronde, se il settore musicale in questione è quello maggiormente legato alle sfaccettature dei sentimenti, è inevitabile che le donne al riguardo ne sappiano parecchio di più.
Marissa Nadler
Con Strangers Marissa Nadler dà forma definitiva a uno stile che si potrebbe descrivere come minimalismo solenne o, se si vuole essere saccenti, romanico noir. L’austerità melodica che caratterizza la musicista di Boston trova qui diverse aperture quasi epiche (Katie I Know, Janie In Love), ben sostenute dalla produzione elegantemente dark di Randall Dunn – che ha lavorato anche con i drone-metallari Sunn O))) – e che qui fa sembrare solenni anche le strutture più semplici. I testi abbandonano i classici temi dei disastri relazionali e suonano astratti e trasognati contribuendo a dare a Strangers una dimensione strana, quella del disco notturno però da ascoltare di giorno.
8/10
Cate Le Bon
Astratti (con tocchi dadaisti) sono anche i testi di Cate Le Bon, che torna a fare bella musica dopo l’uscita confusa e presuntuosetta a nome Drinks insieme a Tim Presley dei White Fence. Crab Day, ispirato nella sua realizzazione da una qualche spiacevole vicenda umana dell’artista, è un disco che piacerà ai pochi che ricordano le canzoni quasi cabarettistiche di gente come Peter Blegvad, Slapp Happy e Raincoats o il pop sbilenco dei primi Gorky’s Zygotic Mynci, per combinazione gallesi come Le Bon (in realtà la ragazza pare essere diventata molto ‘hip’ nell’amietne artistico di Los Angeles, dove oa vive).
In questo caso si può parlare di destrutturazione melodica con successiva ristrutturazione creativa del tipo “mi avanza un vibrafono, potrei metterlo qui”. Dà l’idea di essere un disastro e invece funziona quasi sempre, in particolare nell’improbabile bolero di I’m A Dirty Attic. Dadaista sì, ma con sentimento.
7,8/10