Melanie De Biasio e Blackened Cities: un pezzo di 24 minuti (raro) che scorre in un attimo (rarissimo).
Un pezzo da 24 minuti è da tempo una rarità in ambito rock e dintorni. Certo, gli Swans ogni tanto si cimentano sulla lunghissima distanza, ma lì non si tratta di ‘pezzi’ quanto piuttosto di mani pigiate sui tasti della psicosi e che a quei tasti restano attaccate (in questo senso li si potrebbe definire in effetti ‘pezzi di psicosi’).
Blackened Cities, invece, è una sorta di suite a metà strada fra jazz (la ritmica e il piano) e prog (le tastiere ‘70s, il flauto) entrambi in modalità misurata e si muove, quantomeno all’apparenza, fra struttura pensata a priori e improvvisazione traendo, peraltro, il meglio da entrambe le fonti. Melanie De Biasio forse è stanca del cliché, tra il buffo e il riduttivo, della “Billie Holiday belga”, gioca dunque su toni meno felpati rispetto al passato ed è bravissima nel dialogare senza fatica con gli strumenti. Il risultato è che i 24 minuti passano in un attimo (mica come con gli Swans…) e vien voglia di riascoltare subito il disco in cerca di sfumature, echi, frasi accennate.
Si potrebbero citare come termini di riferimento Pharoah Sanders, Patti Waters, i Talk Talk e persino i Blue Nile; in realtà funziona di più il parallelo, più emotivo che sonoro, con il recente Sketches of Skelmersdale dei Magnetic North: realtà urbane tra il grigio e il nero descritte senza tristezza o brutalismo; con leggerezza e gioia di vivere a prescindere dal contesto, invece.
7,8/10