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di Marina Montesano

Sono passati circa trentacinque anni e cinquanta milioni di dischi venduti dall’esordio dei Motörhead, una band nata come crossover tra punk e metal quando, negli anni ’70, di trash ancora si doveva sentir parlare. Della formazione originaria il solo Lemmy Kilmister è rimasto, ma d’altra parte tutti sanno che il cervello e il cuore della band è sempre stato lui. Invecchiato bene nonostante le tracce dell’età e degli eccessi si sentano nella voce, leggermente (ma solo leggermente) meno devastante che un tempo e sempre roca, Lemmy torna con la consueta formazione a tre e con un nuovo disco, Aftershock, che non cambia niente rispetto alla tradizione del gruppo, ma che certo nemmeno rappresenta un passo falso. E’ un disco solido, pieno di brani (a partire dal singolo Heartbreaker) che si collocano nella grande tradizione di Ace Of Spades e di Overkill. C’è anche spazio per qualche rallentamento nel ritmo, che in almeno un caso produce risultati eccellenti: il blues (anche nel titolo) sincopato di Lost Woman Blues fa venire inaspettatamente alla mente le prove recenti di Bob Dylan e, con il finale accelerato, risulta anche il momento più apprezzabile di Aftershock.

7.3/10

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Motörhead – Heartbreaker

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