pixies doolittle 25

pixies doolittle 25

di Antonio Vivaldi

Black Francis che declama nevrastenico “I want to to grow up to be a debaser” e Kim Deal che depotenzia il “corruttore” con l’angelico  controcanto “debaser debaser” (Debaser); un improbabile dialogo a base di sospiri alt-sexy (Tame); l’inno al suicidio – tentato? immaginato?- con la più avvincente melodia mai ascoltata (Wave Of Mutilation). La tripletta iniziale di Doolittle è forse la migliore in tutta la storia degli album rock. Lascia entusiasti, agitati, stupiti, divertiti (“Chien Andalusia, Chien Andalusia!!!!!!”). Se aggiungiamo che il resto del materiale subisce un calo fisiologico davvero trascurabile, eccoci di fronte a un disco imprescindibile non solo per quanto riguarda gli anni ’80 (la pubblicazione originale è del 1989). Sì, la frase è banale, però il concetto va ribadito, visto che in Italia i Pixies sono molto meno noti dei R.E.M. pur avendo la stessa importanza del gruppo di Athens per quanto concerne la sagomatura dell’alt-rock americano (diciamo che i R.E.M. erano i buoni e i Pixies i cattivi…). Doolittle è un lavoro acidulo, nervoso e pieno di nodi, ma anche dinamico nelle sue continue ripartenze, nitido nella produzione (Gil Norton), con una batteria sempre puntuale (David Lovering) e una chitarra duttile o potente a seconda dei casi (Joey Santiago). Poi ci sono i testi da disadattato di talento di Black Francis, capaci di trovare il guizzo buffo quando le cose si fanno preoccupanti, e le sue melodie, che dovrebbero essere disilluse e acri e non possono fare a meno di suonare potenti e persino orecchiabili. In tanto tripudio resta un po’ in disparte solo Kim Deal (rari ma splendidi interventi vocali e un basso dalle linee limpide), che infatti se ne va poco dopo per formare le Breeders.

pixies-doolittle originale
Ribadito il valore dell’album in sé, occorre parlare di questa ristampa a un lustro dall’uscita originale, appunto intitolata Doolittle 25, e articolata su tre cd. Il primo ripropone il lavoro originale senza, per fortuna, le solite menate del ‘nuovo missaggio’ più chiaro o più scuro. Il secondo assembla due Peel Sessions e i lati B di due singoli, cinque brani non certo di scarto, a testimonianza di un fervore creativo felicemente nevrotico: Weird At My School è programmatica già dal titolo, mentre Manta Ray e Dancing At Manta Ray anticipano il gusto per il surrealismo deformante dei dischi successivi. L’insieme è molto godibile, per quanto i pezzi siano pressoché tutti noti. Il terzo cd è invece in massima parte inedito ed è concepito come una sorta di Ur-Doolittle coni brani registrati in versione demo precedente all’entrata in scena di Gil Norton. L’idea è interessante e vagamente voyeuristica (rende cioè pubblico qualcosa che doveva restare privato), ma è probabile che dopo il primo ascolto incuriosito quelle tracce difficilmente ritroveranno la via del lettore CD. Unico momento di vero interesse è Tame, dove manca la voce di Kim Deal e l’ansimare di Black Francis, privo di controparte, fa pensare al più classico dei maniaci telefonici. Dunque l’insieme del materiale aggiunto funge da compendio utile ma non necessario, mentre qualche critica va mossa alla confezione. Scompare la copertina originale, certo non memorabile come quelle di Come On Pilgrim o Surfer Rosa, ma più vivace della vaga cosetta bianca e marroncina che la sostituisce. Le note di copertina sono a dir poco scarne e, soprattutto mancano i testi, fondamentali per capire il mondo Pixies e che il vinile originale giustamente proponeva. Quindi il voto va scisso fra album orginale:

9,6

e ristampa:

6,9 

 

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Pixies – Tame (live 1989)

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