A_Certain_Ratio_1982

A dispetto del titolo 1982 ci restituisce degli A Certain Ratio molto attuali

Gli A Certain Ratio li vidi live l’11 maggio 1981, data che ai rasta dovrebbe tristemente ricordare qualcosa. Un live set impressionante e, come usava allora, assolutamente distaccato da qualsiasi atteggiamento da protostars, durata complessiva nemmeno un’ora, dopo di che saluti e baci e manco un bis. Il look era quello che si vedeva nelle foto promozionali dei primi lavori, praticamente degli aviatori appena scesi da un biplano nel Sud Sahara: lo scarpone, la braghetta caki e il capello rasatissimo ai lati e disordinato sulla capoccia.

Un anno dopo davano alle stampe Sextet, lavoro in qualche modo conclusivo di una prima fase in cui i mancuniani venivano descritti come i Joy Division funky ma meglio vestiti, complice sia l’etichetta Factory Records che le produzioni di Martin Hannett. Era la band preferita da Tony Wilson, patron della label, prima che arrivassero gli Happy Mondays, sua delizia e rovina. Nel corso della loro ballonzolante carriera hanno influenzato la qualunque, dai LCD Sounsystem agli !!! , ai Rapture e via di white funk.

Spariti dai riflettori nel 1997 tornavano nel 2008 per poi sparire di nuovo sino al 2020, anno da cui, con la realizzazione del discreto Loco non hanno più mollato una virgola, continuando con nuove emissioni digitali e non, sino ad  arrivare ad oggi, e che oggi…

1982 non è revival

L’album odierno, titolato appunto 1982 e pubblicato da Rough Trade, non si pone però come un totale revival all’alluminio dei bei tempi che furono, anzi. La band, che ha ritrovato da qualche annetto la verve per riproporre in forma evoluta la sua grammatica bicolore, in questa sua terza/quarta incarnazione sceglie invece di affidare a neofiti della scena di Manchester alcuni interessanti guest tra cui quello con il rapper Chunky e quelli con la già nota Ellen Bet Abdi, ormai membro a tutti gli effetti insieme ai fondatori Donald Johnson, Jez Kerr e Martin Moscrop e a cui si uniscono in questa avventura Tony Quigley e Matthew Steele.

La vitalità degli A Certain Ratio odierni

Si parte con Samo e siamo subito nelle Houses in Motion di talkingheadsiana memoria, il cantato rimane per fortuna quello di sempre, una spanna sopra lo spoken e due cubetti di giaccio, l’evoluzione del brano ci riporta su un dancefloor dove troneggia Ranxerox (senza la k sennò parte denuncia per diritti).Waiting on a Train, già singolo, si dipana su una afrotrance dalle metriche atipiche dove il rappato e il melodico si scambiano gli anelli in una bruma psychoexploitation. Il brano che dà il titolo all’album spediamolo a James Murphy così si disbelina e scongela la band: un crescendo tra cinelounge e neodance che rispolvera persino il vocoder; non manca ovviamente lo slap che è cifra stilistica della band sin dai primi vagiti.

A Trip in Hulme ritesse le fila della passate suggestioni advisor della band a cui evidentemente o piace viaggiare o piacciono i trip; propenderai per entrambi, anche qui un profluvio percussivo che congela il calore Latin pervadendolo di quella Manchester che è spesso musicalmente più capitale della capitale stessa. Tombo in M3 potrebbe essere benissimo una mossa nella battaglia navale ma la sincope tastieristica mi riporta, per una strana deformazione aurale, ai suoni dei dischi per la Cramps, vedi tu, ci avrei visto bene Miles Davis ma la tromba filtrata va bene anche così…

Giunti a metà lavoro si inizia con Constant Curve , chitarra a grattugia, siamo proprio tornati indietro ma è solo una mera illusione, potrebbe essere un gran singolo, per fortuna la cantante non bercia ma si mantiene algida e calda al contempo. Afro Dizzy era già nota ma non sfigura affatto nel complesso del lavoro, pare di sentire la bonanima di Tony Allen, altro brano da dancefloor coatto. Holy Smoke è puro revival ma che revival, c’è Kid Creole che si aggiusta le braghe ascellari e fa la fila per entrare all’Hacienda. Tier 3 si muove nuovamente su ritmiche sbilenche e su afrori arabeggianti, ma in realtà è la lezione di Fela Kuti che fa nuovamente capolino, mentre la conclusiva Ballad of ACR destabilizza completamente tutto l’ascolto precedente sollevando malinconie brizzolate e ci riporta, a metà cammino, ai tempi dei Working Weeks con Keith Tippett, per chiudere con ricordi di un’After Science di marca Eno, tra l’altro, ispiratore del loro moniker…

Gran disco antianagrafico.

A Certain Ratio - 1982
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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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