Eat The Elephant, più che atteso ritorno per A Perfect Circle.

Incredibile ma vero, finalmente è uscito Eat The Elephant, il nuovo e attesissimo album degli A Perfect Circle. Quando scrivo “attesissimo”, naturalmente sento io stessa l’ilarità della cosa: i fan avevano quasi perso ogni speranza dopo quattordici anni dall’ultima produzione della band di Maynard James Keenan. E invece… eccolo, accolto da pareri discordanti come è giusto e bello che sia per i grandi eventi.
Io ho cercato, come sempre, di chiudere gli occhi per non leggere nessuna delle critiche fin qui uscite, per mantenermi libera da ogni condizionamento e pronta ad affrontare la cosa, vergine di ogni parola altrui. E così, rigorosamente ad occhi chiusi e orecchie ben aperte, l’ho ascoltato. Più e più volte, perché al primo ascolto il disco mi ha lasciato un bel po’ di amaro in bocca. Ma si sa, un solo ascolto non può bastare (quasi) mai.
Eat The Elephant: un solo ascolto non basta
Ed è così che ho proseguito, a volume basso, a volume alto, di giorno e di notte. Ecco, è abbassando le luci e alzando il volume che finalmente l’ho “sentito” davvero.
Posso dire subito che è con TalkTalk che ritrovo tutta la potenza della band di Keenan. Ci ritrovo anche il link con il passato più glorioso e voglio usare questo brano come tramite per la scoperta del resto dell’album, anche se lo troviamo alla sesta posizione nel CD.
Ma procediamo…
Tutto parte con un intro soft nella title track. Un brano delicato che al primo ascolto non mi ha affatto convinto e che invece adesso mi ritrovo in sottofondo più volte durante la giornata. Il disco procede in un lento crescendo con Disillusioned e The Contrarian. The Doomed ci sveglia dallo pseudo torpore sin dalle prime note. Non si fa in tempo ad abituarsi alla sua “classicità” che si viene sorpresi dalle numerose variazioni.
So Long, And Thanks For All The Fish è l’unico brano che continua a non convincermi fino in fondo anche dopo numerosissimi ascolti. Lo trovo troppo ruffiano e troppo semplice anche se, c’è da dirlo, la citazione contenuta nel titolo, da sola, dovrebbe bastare a farmelo piacere.
I rimandi al passato e le novità di Eat The Elephant
La linea melodica di By And Down The River porta il pensiero direttamente a quei Cure fra Disintegration e Wish, mentre Delicious pare una confortante ballata anni ’90. DLB sembra quasi un tributo – totalmente strumentale – a To Wish Impossible Things, sempre dei Cure.
Hourglass rompe totalmente l’atmosfera trasognata del brano precedente e lo fa con un piglio alla Trent Reznor, fra elettronica e synth più efficacemente invadenti. Feathers colpisce soprattutto per il testo, bellissimo. Get the Lead Out chiude l’album. Mi sembra cominciare come se fosse un brano degli Alt-J, con ritmica e melodia stupefacenti nella loro semplicità e potenza.
L’album finisce. E riparte, in loop.
Be the first to leave a review.