I’m Totally Fine With It 👍 Don’t Give A Fuck Anymore 👍: secondo album della seconda vita degli Arab Strap.
Le seconde vite musicali. In teoria non dovrebbero funzionare e in effetti sono sovente stracche riproposizioni di un passato glorioso. Ma possono anche produrre esiti magnifici. Pensiamo ai Go-Betweens, ai Dream Syndicate, ai Pet Shop Boys, agli Slowdive e, appunto, agli Arab Strap. Addirittura, nel caso di questi ultimi, il disco del ritorno in scena, As Days Get Dark, era stato da molti considerato il loro migliore. Un disco ancora una volta da bassifondi del sentimento nelle parole di Aidan Moffat, ma più vario nei suoni architettati di Malcolm Middleton. Inoltre il primo si arrischiava ogni tanto a cantare o quasi, mentre il secondo metteva in piedi cose somiglianti a ritornelli. Una diversa forma di bellezza sonora o anche la bellezza del disagio.
Il nuovo disco
I’m Totally Fine With It 👍 Don’t Give A Fuck Anymore 👍 (Rock Action) non si distacca da questo approccio recente, semmai lo rifinisce ed è di nuovo ad alto livello. Lo si può considerare un concept album dedicato al tema della comunicazione e, più in generale, della socialità moderna entrambe raccontate, inutile a dirsi, nei loro aspetti invasivi deteriori, perversi. Lo chiarisce già la parte grafica con l’iconcina del pollice verso inserita nel titolo e con i testi impaginati come fossero messaggi inviati da un cellulare. Le storie vengono sovente raccontate in prima persona trasportando l’ascoltatore nella mente di persone che vivono a un passo dal baratro o ci sono già cadute, in molti casi volontariamente.
I testi di Aidan Moffat
Le due canzoni in tal senso emblematiche si trovano in apertura e chiusura del lavoro. Così termina l’iniziale Allatonceness: “Si prendono la tua attenzione… E non te la restituiranno. Si prendono la tua attenzione e odiano, odiano proprio tanto Disney. Si prendono la tua attenzione… E mi sa che mi piace così”. Nella conclusiva Turn Off The Light le cose diventano paurose sul serio: “Avevo dimenticato di essere me stesso. Dimenticato di sentire e di vedere. Poi sei arrivato tu e mi hai mostrato le risposte […] Avevo paura di uscire. Ero prostrato dal pericolo e dal dubbio. Ho cliccato sul tuo link e, insomma, mi ha fatto pensare, ora so cos’è questo mondo. Perchè sei arrivato tu armato di risposte”. Se non bastasse, ecco apparire il Covid nella straziante Safe & Well, ispirata alla storia vera di una donna morta in casa durante il lockdown senza che nessuno se ne accorga per mesi: “Centinaia di messaggi ed email rimasti lì, non potevo rispondere, niente doppie spunte. Non sono mancata a nessuno, nessun amico turbato”, Vale la pena aggiungere che Moffat lascia comunque spiragli aperti alla compassione, come nel caso della struggente You’re Not There, peraltro tristissima nei suoi messaggi inviati invano a un interlocutore che non può o non vuole rispondere. Meno spazio rispetto al passato trova invece la dimensione ‘basso-corporale’ e forse qui c’entra qualcosa il sopraggiungere della mezza età.
Le musiche di Malcolm Middleton
Abbiamo dunque testi di grande capacità evocativa, strutturati con la stessa maestria di Neil Tennant dei Pet Shop Boys (a differire sono gli ambienti evocati e il linguaggio). Li si potrebbe leggere con angosciato piacere anche senza musica. Ma la musica c’è, compatta, avvolgente e, per forza di cose, perturbante. Insomma in perfetta sintonia con le parole. La ritmica è ben scandita, c’è molta elettronica vecchia e nuova, un bel momento di dance psicotica (Bliss) e qualche sorprendente chitarrona. Occhieggia anche un certo gusto melodico, in particolare in Strawberry Moon e nella già citata Safe & Well, sorprendente ballata acustica.
Ancora una volta un disco che mette a disagio senza respingere (come a volte succede per i similmente aspri Sleaford Mods) e che anzi coinvolge e fa pensare. Potremmo essere anche noi personaggi delle canzoni degli Arab Strap? Un brivido ci percorre.
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