Il ritorno complicato e interessante degli Arcade Fire con Pink Elephant.
Nel 2017 gli Arcade Fire erano sulla cima del mondo. In particolare erano sulla cima di ogni programma di festival all’aperto. Tomtomrock li vide fare da headliner al Primavera Sound di Barcellona davanti a qualcosa come trentamila fan entusiasti. Erano potenti, spettacolari, trendy con stile oltreché pieni di buoni propositi fuori dal palco. insomma il rock nella sua migliore espressione contemporanea.
Nuvole sugli Arcade Fire e poi il temporale
Da allora le cose sono andate peggiorando sia per il mondo che per gli Arcade Fire. Per il mondo il discorso è ovvio, mentre riguardo alla band canadese un approfondimento è utile. Il disco di quell’anno, Everything Now rappresentò il primo mezzo passo falso della loro carriera. Dopo un lustro di silenzio WE non cambiò troppo la situazione suonando magniloquente, risaputo e di alterno spessore melodico. Intanto se ne era andata una delle tre figure carismatiche della formazione, Will Butler, lasciando al comando delle operazioni il fratello Win e la di lui moglie Régine Chassagne.
Sul cielo sereno degli Arcade Fire si stavano adossando nuvole sempre più grigie da cui nell’agosto 2022 si scatenò l’uragano: le plurime accuse di molestie sessuali rivolte a Win Butler. Chi voglia approfondire l’argomento può farlo qui, una storia certamente spiacevole nella quale, alla fine, si delinea il quadro di una persona dallo stato mentale piuttosto complicato.
Pink Elephant e come sta venendo giudicato
9 maggio 2025: Pink Elephant, settimo album degli Arcade Fire, è appena stato pubblicato e già fioccano le recensioni estere perplesse e/o negative. Inevitabile pensare che le polemiche intorno a Win Butler stiano influenzando gli ascolti poiché proprio l’ascolto racconta di un lavoro superiore ai due precedenti e soprattutto più ispirato.
Intanto Butler e Chassagne scelgono di affidarsi a un produttore esperto quale Daniel Lanois (Bob Dylan e U2 nientemeno) che, come suo stile, riempie i suoni senza però perdere di vista la nitidezza dei dettagli. Quest’ultimo dato è ancor più importante se messo in relazione con composizioni che risultano più sottotraccia rispetto al passato recente e il cui coefficiente di riascoltabilità cresce a poco a poco. Ciò vale in particolare per la già nota Year of the Snake, per la title-track, per la ritmata e misteriosa Circle of Trust e per I Love Her Shadow, momento più coinvolgente del lavoro. Se qualche passaggio suona sin troppo trattenuto (in partcolare Ride Or Die) oppure gira un po’ a vuoto (Alien Nation), la conclusiva Stuck in My Head rompe finalmente gli argini dell’emotività come una liberazione di energie a lungo trattenute ed è facile immaginarla come un nuovo classico live.
Dunque Pink Elephant non riporta gli Arcade Fire sul trono del rock intelligente (dove siedono attualmente i Fontaines D.C.), ma almeno li mette sul sentiero giusto per la risalita.
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