Arooj Aftab canta, in inglese e in urdu, il regno della notte.
Vulture Prince, il terzo album del 2021 di Arooj Aftab – musicista pakistana ormai di base a New York – era segnato profondamente dal dolore per la morte del fratello, mentre il successivo Love in Exile registrato con il pianista Vijay Iyer e il polistrumentista Shahzad Ismaily, pur conservando un tono malinconico e assorto, segnava un ritorno ai synth e alla strumentazione elettrica, abbandonata nel precedente e una maggiore influenza della musica tradizionale del suo paese natale. Entrambi i dischi rivelarono e fecero conoscere al mondo la bravura di Aftab e la raffinata sensibilità della sua musica.
Ora con questo Night Reign la cantante, pur mantenendosi sempre su atmosfere nostalgiche e dolorose, le stempera con la disarmante bellezza cristallina della sua musica e della sua incantevole voce dal timbro setoso e nebbioso e dal forte potere evocativo.
Il titolo lo dichiara apertamente, siamo nel regno della notte, quando i contorni si sfumano e si fanno incerti, il momento della giornata quando ci si abbandona alla dolcezza malinconica dei ricordi. E poi “tutti hanno un aspetto migliore nella penombra, preferisco non dover vedere le persone di giorno”, come ha dichiarato al NYT. Come nel suo stile i testi sono brevi ed essenziali – tre in inglese e gli altri sei in urdu – tutti di sua composizione tranne due che portano la firma di Mah Laqa Bai Chanda, prima poetessa di lingua urdu vissuta nel XIX secolo e la rilettura del classico di Prevert e Kosma, Autumn Leaves.
I musicisti di Night Reign
Oltre a Iyer e Ismaily, numerosi sono i musicisti coinvolti, molti dei quali appartenenti alla scena jazz newyorkese: Gyan Riley, James Francies, Kaki King, Maeve Gilchrist, Moor Mother, Chocolate Genius, Elvis Costello e altri. Gli arrangiamenti, curati con grande attenzione dalla stessa Aftab, accompagnano magnificamente il canto nella modulazione di un ampio spettro espressivo, rendendo le composizioni profonde e affascinanti.
L’album canzone per canzone
Il disco si apre con Aey Nihim: il canto dalle venature dolenti è accompagnato dal suono dell’arpa e della chitarra acustica, solo rade percussioni lontane e tocchi di synth accentuano il senso di distacco, mentre è evidente l’influenza della musica classica indostana. Segue la magica e misteriosa Na Gul con le splendide trame intessute dall’arpa e dal piano. Autumn Leaves, versione inglese di Les Feuilles Mortes, è un classico dell’amore perduto che il contrabbasso e le stranianti percussioni immergono in un’atmosfera irreale, accentuandone il sentimento della mancanza e dell’abbandono. Splendido è l’assolo della chitarra jazz di Ivey, così come il duetto con Moor Mother nell’irrequieta Bolo Na. L’assorta e meditativa Saaqi, una Last Night Reprise in un nuovo arrangiamento che ne privilegia il carattere sperimentale e jazzato, la ritmata e torbida Raat Ki Rani, la magnifica, sensuale e armoniosa Whiskey (una notte alcolica in cui “Penso di essere pronta a cedere alla tua bellezza / E lasciarti innamorare di me”), ci conducono alla fine con Zameen, riadattamento dal repertorio della diva indiana Begum Akhtar, brano che con la sua dolcezza apre uno squarcio di serenità e di luce. La fusione fra jazz, musica indiana e cantautorato funziona alla perfezione e le canzoni scorrono con una naturalezza e intensità da lasciarti attonito per tanta bellezza.
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