7, ovvero il settimo album dei Beach House.
Nel 2015 i Beach House avevano sorpreso tutti facendo uscire due album a distanza di un mese l’uno dall’altro. Ed erano anche due uscite piuttosto differenti l’una dall’altra, la seconda proiettata verso un suono più godibile, si potrebbe dire quasi pop. A tre anni di distanza, 7 (è il loro settimo disco) si spinge anche oltre e sostanzialmente reinventa il suono del duo.
I Beach House si reinventano
7 potrebbe essere per i Beach House una rinascita, dopo una carriera ormai più che decennale. Soprattutto la sua parte centrale contiene alcune fra le composizioni migliori di Victoria Legrand e Alex Scally. Il disco comincia però secondo parametri cari al duo. È con Lemon Glow (scelta come primo singolo) che le cose cominciano a farsi più interessanti.
La parte migliore di 7
L’Inconnue si sviluppa sinuosa, con una parte cantata in francese. Poi arriva Drunk In LA, uno dei brani migliori di 7. Dive, scelta come secondo singolo, richiama maggiormente il passato con le atmosfere sognanti. Evidentemente i Beach House hanno preferito presentare un disco di cambiamenti, ma senza esagerare.
La canzone successiva, Black Car, è anche la migliore del disco. Notturna nei suoni e nei testi: “We want to go inside the cold / It’s like a tomb, but it’s something to hold / And in the time before it ends / When the stillness bends. Nonché nel video che l’accompagna.
I Beach House chiudono 7 con stile
Con questo momento 7 raggiunge l’apice. Non che successivamente non ci sia niente di buono, tutt’altro: il disco si mantiene sempre su livelli convincenti. Per esempio Woo, uno dei pezzi più movimentati, è un bel richiamo agli anni ’80, sia pure filtrati dal piglio tipico dei Beach House. E Last Ride comincia con il piano per poi esplodere in una sinfonia di suoni. Bella chiusura, molto Velvet Underground. Non stupisce insomma che i Beach House continuino a rappresentare un baluardo del suono indie, che da qualche tempo a questa parte segna un po’ il passo.
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