Con Saint-Clair Benjamin Biolay dà un seguito naturale a Grand Prix.
Sta divenendo un’abitudine per Benjamin Biolay: proporre un disco simile al precedente ma in tono minore; era successo con Volver rispetto al magnifico Palermo Hollywood, accade ora con Saint-Clair rispetto all’ottimo Grand Prix del 2020.
I singoli aprono il disco
Saint-Clair e Grand Prix sono guidati dalla stessa ispirazione e seguono la medesima strada sonora, costituita da un pop-rock melodico e ben costruito, alternato ad alcune ballate. Il disco si apre, dopo trenta secondi di introduzione, con i due primi singoli, Les Joues Roses e Rends L’Amour, la prima praticamente un calco della formula Strokes che recentemente sembra aver catturato Biolay, mentre la seconda, pure della stessa matrice, è decisamente migliore e non avrebbe sfigurato su Grand Prix. Molto ben riuscito il duetto con la brava Clara Luciani su Santa Clara.
Nonostante una ballata intitolata a Saint-Germain, l’ispirazione del disco sembra venire, almeno geograficamente, dal sud della Francia, in particolare dalla bella Sète dove si trova il Mont Saint-Clair del titolo, oppure la cappella di Notre-Dame-de-la-Salette dedicata a Sainte-Rita, che diviene protagonista di una breve, bella ballata alla chitarra.
Sète ispira Benjamin Biolay e Saint-Clair
Con i suoi sessantaquattro minuti di lunghezza, decisamente troppi, Saint-Clair mostra un Benjamin Biolay in versione minore: molte sono le belle canzoni, ma alcune sembrano delle b-sides di Grand Prix, e a volte verrebbe voglia di suggerirgli di variare gli ascolti perché l’influenza Strokes in certi passaggi è imbarazzante. Anche per i testi, Biolay pare aver messo un po’ il pilota automatico e qui soprattutto si rimpiange l’originalità di Palermo Hollywood. Però così è: in Saint-Clair non mancano gli spunti e Benjamin Biolay sfodera il consueto mestiere per gli arrangiamenti, sempre eccellenti. Una volta trovata una nuova direzione tornerà a brillare.
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