Still Some Light / Part 1: il canto oscuro di Bill Fay nella sua essenzialità
Il mondo apocalittico di Bill Fay, incerto fra amore per il divino e timore per il maligno, turbò gli ascoltatori dei primissimi anni ’70, persino quelli in teoria ben disposti verso le canzoni introspettive e dimentiche della conflittualità Sixties. Se questa nuova autorialità risultava ben assimilabile nella versione carezzevole proposta da James Taylor o Carole King, Fay appariva invece faticoso: talora prolisso nei testi, ridondante nelle orchestrazioni e sin troppo serioso. Non è un catalogo di complimenti e in effetti i suoi primi due album potevano annoiare o irritare, ma anche affascinare per lo strano e difficile mondo da loro suscitato, assimilabile a quello di un altro campione di tenebrosità quale lo Scott Walker di Scott 4. E questo anche per le scarse fortune commerciali.
Il ritorno di Bill Fay dopo un silenzio lunghissimo
Deluso dall’industria delle musica, dopo quei due lavori il nostro sparì per decenni e ritornò in scena a inizio anni ‘10, d’improvviso perfetto per un’epoca in difficoltà con il presente e perciò attratta dai precorritori del nuovo mondo triste. Fra il 2012 e il 2020 il musicista londinese ha inciso tre album più lineari rispetto al passato e commoventi nella loro infine accogliente spiritualità.
Il primo passo di questa rinascita era stato, nel 2010, il doppio Still Some Light, voluto dal fan importante David Tibet (Current 93 [*]) e articolato in un primo disco contenenti demo del periodo 1970-71 e un secondo dedicato alle registrazioni casalinghe messe in archivio negli anni del ritiro dalle scene. Oggi il lavoro ritorna in commercio, sia in cd sia (per la prima volta) in vinile, ma in due parti separate.
Still Some Light / Part 1
La prima parte, appena pubblicata da Dead Oceans, porta il sottotitolo di Piano, Guitar, Bass & Drums. Potrebbe essere un semplice complemento ai due primi album, di cui ripropone numerosi titoli insieme ad altri del tutto inediti e assai belli (**). In realtà andrebbe vista come un percorso parallelo alla discografia ufficiale, più essenziale nei suoni e per tale ragione precorritore dell’artista di tanto tempo dopo. La chitarra elettrica di Ray Russell è qua e la invadente e il canto ogni tanto arranca, eppure la partecipazione dell’artista è meglio delineata, più coinvolgente e meno sopra le righe persino nell’evocazione dell’Anticristo di Time of the Last Persecution o nella temibile, per la sua costante attualità, Pictures of Adolf Again. Assieme al recente Countless Trees Still Some Light si propone, un po’ a sorpresa, come il miglior modo per accostarsi a Bill Fay. In attesa della Part 2.
(*) L’altro estimatore rinomato è Jeff Tweedy dei Wilco.
(**) Parliamo di Love Is the Tune e Arnold Is a Simple Man che nella loro dolente compostezza fanno pensare (e la cosa emoziona) a un altro elusivo, introverso e sfortunato melodista anni ’70, Clifford T. Ward.
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