I Black Country, New Road emozionano con Ants from Up There, ma c’è un guaio…
Un’opera prima (For the First Time, appunto) a inizio 2021 che è piaciuta praticamente a tutti, adesso un seguito, Ants from Up There, che sta ottenendo recensioni esaltate, fra poco una tournée britannica attesissima. Insomma i sette Black Country, New Road a gran velocità si sono affermati come nuovo nome intelligente ma anche emozionante da citare con l’aria di chi la sa indie-lunga. Un po’ come era successo a suo tempo agli Arcade Fire, che non a caso ai BCNR piacciono parecchio.
Pochi giorni fa, addirittura prima della pubblicazione di Ants…, ecco il fulmine a ciel grigio (siamo pur sempre in Inghilterra…) dell’uscita dalla formazione del cantante e chitarrista Isaac Wood. A causarla non sono i classici dissapori artistici, bensì una cosa più seria, ovvero il “sentirsi triste e spaventato che rende difficile suonare e cantare”. Il sommesso suggello del comunicato non lascia speranze: “Grazie a tutti”. E così la tournée è cancellata e l’intera storia mette un po’ di tristezza. Già il rock si dice sia in crisi e adesso ha pure sfiga?
Black Country, New Road – Ants from Up There: un disco ‘importante’ ma anche emozionante
A dispetto di tutto questo è giusto occuparsi dell’album appena uscito. Il guaio è che a parlarne la tristezza aumenta ancora, perché la musica è proprio bella sia quando è calcolata nei dettagli sia quando deraglia di qua e di là. E il deragliante è sempre Wood, con quel che se ne deduce a posteriori.
Intanto il mutamento rispetto al lavoro precedente è sostanzioso e questo dispone bene l’ascoltatore giacché in epoche recenti le novità – di attitudine, di suono, di approccio – tendono a essere millesimate. Invece i nostri, pur restando riconoscibili nella loro nudità emotiva, mettono da parte il tutti avanti e pedalare (alla IDLES, volendo) di molti momenti di For the First Time per un approccio che si potrebbe descrivere come agitazione poetica: una calma quasi pastorale sotto cui vibra una tensione sempre pronta a esplodere. Molti pezzi si propongono come articolate mini-sinfonie: fantasia negli interventi di fiati, violini, mandolini e struggenti pianoforti, un uso non solo ritmico della batteria e una voce da monologo interiore portato con sofferenza alle labbra. Ogni ascolto regala scoperte e fili da seguire o dipanare.
Ci sarebbero anche i fili testuali, giacché pare di percepire un continuum testuale basato su un personaggio chiamato Concorde (un extraterrestre a giudicare dal video del pezzo omonimo) e su un costante dialogo tu-io dai contenuti sovente oscuri, ma in genere desolati: “Mostrami il posto dove lui ha inserito la lama/ Buongiorno/ Buongiorno/ Dov’è la tua luce?/ Sono a casa?”
Il meglio di Ants from Up There
Il disco è assolutamente magnifico nella parte iniziale e in quella finale. Nella prima spicca Chaos Space Marine con un’apertura melodica che si fa strada quasi fosse necessità terapeutica e che giustifica il paragone con gli Arcade Fire (quelli prima maniera), ma anche con un altro artista robustamente problematico, Richard Dawson. Nella sezione conclusiva è Snow Globes a farsi ricordate per il lungo inizio strumentale su cui intervengono un cantato tra elegia e dolore e un violino ‘circolare’ che fa pensare al Michael Nyman delle musiche per Greenaway. Non fosse per una zona centrale dove gli obiettivi melodici si fanno meno nitidi ci sarebbe da entusiasmarsi alla grande, come in tempi recenti è successo, ad esempio, per i Sons of Kemet. Però va già benissimo così se non fosse per l’unica, e peraltro enorme, ombra rappresentata dall’abbandono da parte di Wood. Gli altri hanno annunciato che proseguiranno senza cambiare ragione sociale. E se provassero con una voce femminile?
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