Here We Go Crazy: dopo tanto tempo Bob Mould è sempre lui. Complimenti ma…
Li vedi da lontano e ti viene voglia di cambiare strada. Però non è giusto perchè sono persone rette, intelligenti, informate, però così catastrofiste, così pesanti. Ogni tanto decidi che è giusto provare a vedere se mostrano qualche rilassamento nei confronti del mondo e no, niente, sono sempre uguali a se stessi.
Ecco, questo è il rapporto che chi scrive ha con il Bob Mould solista e Here We Go Crazy è il disco del nuovo approccio fallito. Eppure quando si sciolsero gli Hüsker Dü era nel solido e preparato Mould che venivano riposte le maggiori speranze, mentre lo sgarrupato Grant Hart, scomparso nel 2017, sembrava non dover andare da nessuna parte (in effetti non fece grosse cose, lasciando comunque il ricordo di quell’esordio imperfetto e coinvolgente che fu Intolerance).
E solido e preparato si dimostrò Bob Mould, oltreché metodico nell’intraprendere il suo riconoscibile “trail of rage and melody” (non a caso titolo della sua autobiografia). Al tempo stesso risultarono presto un po’ ripetitive quelle canzoni perennemente incazzate, subito pronte a lanciarsi alla giugulare del sistema e dell’ascoltatore. Si parla comunque di una figura chiave della scena rock alternativa e allora, come nel caso delle persone di cui si parlava all’inizio, qualche volta corre l’obbligo di ritentare l’approccio.
Un disco compatto, anche troppo
Here We Crazy parte bene con una title-track ben strutturata e lineare, dopodiché ecco la consueta sequenza di canzoni furenti (oppure un po’ depresse), stentoree e difficilmente distinguibili l’una dall’altra. Fanno vagamente eccezione Hard To Get e Sharp Little Pieces, mentre in You Need To Shine scintilla la chitarra e basta. Quanto a Lost Or Stolen, è uguale a tutte le altre, solo acustica anziché elettrica. La rabbia c’è ed è sincera e nobile, ma quando diventa cossì stilizzata perde la sua ragion d’essere. Consola un po’, in tutti i sensi, la conclusiva Your Side, che ha un rassicurante passo da ballata e regala qualche raggio di positività nel testo.
Si arriva a fine ascolto parecchio stanchi e con il desiderio di passare subito a qualcos’altro. Ma sì, visto che lo si è citato proviamo con Intolerance di Grant Hart. Continua a suonare imperfetto, coinvolgente e, dopo tanti anni, anche commovente. Con Bob Mould non va mai così.
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