Bonnie “Prince” Billy torna solista in Keeping Secrets Will Destroy You.
Un album per sentirsi a casa, per agire assieme ad una comunità ‘’prima che sia troppo tardi” e ‘’fare musica senza altre cazzate’’; queste, più o meno, sono le dichiarazioni alla base del nuovo lavoro di Bonnie “Prince” Billy, Keeping Secrets Will Destroy You (Drag City/Palace Records). Il cantautore torna ad un lavoro da solista dopo le collaborazioni con Matt Sweeney (Superwolves) e Bill Callahan (Blind Date Party). Sono quindi quattro gli anni che separano Keeping Secrets Will Destroy You dall’arioso I Made A Place.
Un disco prevalentemente acustico
Secondo le notizie disponibili, l’album nasce da alcuni demo con una sezione ritmica tradizionale, per poi trasformarsi in un affaire locale fortemente legato alla comunità di musicisti della natia Louisville, nel Kentucky. I sodali di Oldham sono musicisti professionisti ma anche docenti ed appassionati. Niente basso e batteria, ma molti strumenti acustici (mandolino, violini, viola) e il puro controcanto di Dane Waters, interessante performer a tutto tondo. L’apparizione di un sax vagamente da balera, in Behold! Be Held!, rischia però di buttare all’aria la delicata armonia del progetto. Nei testi, come sempre, emerge il consueto sarcasmo, con molti riferimenti alla mortalità e il conseguente consiglio di vivere pienamente. La natura appare amica e nemica allo stesso tempo; in Willow, Pine and Oak le persone sono comparate agli alberi del titolo, ma questi ultimi sono anche minacciosi e tetri nella successiva Trees Of Hell. Che dire poi, di un brano come Bananas, celebrazione di un’unione carnale che si potrebbe definire, azzardando al massimo, una Je T’aime Moi Non Plus spogliata di ogni romanticismo.
La conclusione di Keeping Secrets Will Destroy You
Con i tre brani posti in chiusura del disco Oldham spariglia ancora: Queen Of Sorrow è una bella cantilena folk guidata dalle voci di Oldham e Waters. Crazy Blue Bells (con il compare Emmett Kelly) ha un testo da gospel che starebbe bene nelle mani di Nick Cave. In chiusura, Good Morning, Popocatépetl, lascia un po’ perplessi per il testo, assai difficile da interpretare (“Se tu sarai la mia Susannah, sarò il tuo Montana, guarda verso il cielo e mi toglierò di mezzo, buongiorno, Popocatépetl, buongiorno, Popocatépetl”). Come sempre, con Billy nostro, c’è tanta roba, forse troppa varietà, per l’ennesimo capitolo di una saga infinita e bizzarra.
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