Il ritorno, dopo nove, anni di Conor Oberst e dei Bright Eyes.
“Bisogna andare avanti come se non fosse la fine”.
Sono le prime parole cantate da Conor Oberst nel disco che segna il ritorno dei suoi Bright Eyes dopo nove anni (*). Parole che dicono come andrà avanti tutto Down In The Weeds, Where The World Once Was. Traduzione del titolo: In mezzo alle erbacce, dove un tempo c’era il mondo.
Bright Eyes – Down In The Weeds, Where The World Once Was: le parole
Ora tutto questo non suona troppo positivo e nemmeno rincuorante considerato il periodo in cui viviamo. Tuttavia è giusto dare credito a Oberst quando dice: “Spero che la nostra musica faccia sentire le persone meno sole”. È giusto dargli credito innanzitutto perché in questo “album legato a perdite di ogni tipo” (ancora parole sue) il quarantenne Oberst canta se avesse ancora i 20 anni del primo capolavoro Fevers And Mirrors: accorato, agitato, sempre sul punto di spezzarsi cuore e gola.
Bright Eyes – Down In The Weeds, Where The World Once Was: le canzoni
Poi è giusto dargli credito perché, come la voce, anche le canzoni commuovono per un’intensità che sa davvero essere partecipativa (quello che a Bon Iver non riesce più e alla democrazia non riesce mai), per un’epicità che sembra innata anziché cercata. Con il contributo di idee degli altri due Occhi Lucenti, Mike Mogis e Nate Walcott, tutta la prima parte del disco è un tripudio di melodie sempre vitali, a volte travolgenti (su tutte Mariana Trench) e di soluzioni strumentali corpose, mai enfatiche e con guizzi sorprendenti (la cornamusa di Persona Non Grata, la chitarrona elettrica di Calais To Dover).
Verso la fine si percepisce un calo di tensione, un tono più rassegnato (la pedal steel remota di Hot Car In The Sun) e anche le parole viaggiano dalle parti della desolazione: “Le agonie non hanno fine/ Le simpatie sì”. Ma quando tutto sembra perduto ecco apparire una cometa, un neonato in un’incubatrice e una ‘morale’ che dice “ti avvicini anche quando scompari”. Non è detto sia positiva, di sicuro fa pensare. Come tutto quello che scrive Conor Oberst.
(*) Nel frattempo Oberst ha inciso a proprio nome, come Desaparecidos o con i Monsters Of Folk.
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