Western Stars: il cielo dei perdenti secondo Bruce Springsteen.
Le stelle dell’Ovest brillano d’una luce fioca e ancestrale. Sanno che il loro destino è quello di illuminare il viaggio incessante e solitario degli spiriti inquieti che cercano una via di fuga dalla loro infelicità. Bruce Springsteen torna a occuparsi di loro, dei “beautiful losers” incapaci di adattarsi alle richieste di tempi predatori e voraci. E lo fa con un album spiazzante e intenso, a tratti sovraccarico di arrangiamenti orchestrali, a tratti commovente per il profondo intimismo di certe ballate. Western Stars è comunque in grado di rendere ancora ricco di appeal lo stereotipo (ma possiamo davvero consideralo tale?) insito nel binomio fuga-redenzione, tanto caro alla letteratura e al cinema di un’America ormai irrimediabilmente perduta.
I temi di Western Stars sono quelli tipici di Springsteen
Realizzato prevalentemente negli studi “domestici” di Springsteen, Western Stars si mostra subito assai migliore del suo predecessore, l’incerto High Hopes. E’ una raccolta di ballate distanti dalla frenesia urbana degli album con la E-Street Band. Qui si respira la polvere del deserto e la strada diventa il cuore del mondo, l’unico antidoto all’inquietudine e all’esclusione sociale.
Tra le pieghe del lavoro di produzione, talvolta ridondante, di Ron Aniello, Springsteen torna a dar voce ai personaggi “marginali”, in bilico tra frustrazione e volontà di riscatto che rappresentano, da sempre, l’humus narrativo del Boss. Il viaggio comincia, non a caso, con Hitch Hikin’, un bell’omaggio alla figura romantica e letteraria dell’autostoppista. Il banjo, la chitarra e una sobria sezione d’archi sono un tappeto sonoro ideale. Anche la title-track Western Stars, al pari di Chasin’ Wild Horses, Drive Fast (The Stuntman) e della bella ballata acustica Somewhere North of Nashville tratteggiano con grande empatia le storie di uomini in fuga, segnati dalla disillusione e capaci di rinunciare a tutto e a partire con un unico bagaglio: le tasche colme di canzoni.
Qualche eccesso orchestrale nei suoni di Western Stars
Peccato che il sovraccarico orchestrale tolga la necessaria immediatezza ad altri brani come, ad esempio, There Goes a Miracle, Sundown o Hello Sunshine (molto simile a Goodtime Charlie’s Got The Blues di Danny O’Keefe). E’ convinzione di chi scrive che un arrangiamento privo di enfasi li avrebbe resi molto più attraenti. Fortunatamente al Boss basta poco per risalire la china. Il tragitto poetico e sonoro di Western Stars termina con Moonlight Motel, uno dei gioielli più preziosi dell’album. E’ una storia di rimpianti e dolori che solo una bottiglia di Jack Daniel’s può lenire. Un bicchiere per lui e uno per una “lei” ormai lontana. Col cuore in tumulto e la luce delle stelle che illumina la stanza di un motel perso nel deserto.
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