Cassandra Jenkins e la faticosa genesi di My Light, My Destroyer.
Ancora un disco sofferto per Cassandra Jenkins; l’onda lunga e depressiva causata dal suicidio di David Berman (Silver Jews, Purple Mountains) che già segnava il travagliato An Overview On Phenomenal Nature sembra ancora aleggiare sulla cantautrice di Brooklyn. Forse l’enorme telo che la Jenkins tiene in mano sulla copertina ha il significato metaforico di coprire finalmente il passato e il suo dolore. Difficile gestazione, blocchi creativi e quindi ripartenza felice per My Light, My Destroyer con la produzione di Andrew Lappin (Orville Peck) e musicisti come Meg Duffy (Hand Habits) e Josh Kaufman (Bonny Light Horseman).
My Light, My Destroyer: un disco dalla struttura insolita
L’album è cosparso di piccoli sketch: ambientali (Music??), strumentali (Shatner’s Theme) e parlati; in uno di questi appare anche un dialogo tra Jenkins e la madre sull’ astronomia (Betelgeuse). Questi interludi servono talvolta a slegare un brano dall’altro (come ad ostacolarne il fluire) quasi a rimarcare la caratteristica più evidente dell’opera, ogni canzone viaggia su un proprio binario, sfidando i generi, dal rock-pop radiofonico all’indie, dal songwriting alla sperimentazione. La voce stessa gioca, in parte, sulla trasformazione, spesso ricorda il sussurrato dei Cowboy Junkies, a volte sfoggia un convincente piglio da rockeuse, come in Clams Casino. Tutto ciò crea un po’ di difficoltà, richiedendo un ascolto più mirato.
Una volta spezzato il sigillo, il disco diventa ricco ed evocativo, e un brano come Delphinium Blue, con il suo splendido arrangiamento corale risulterà difficile da dimenticare. Anche Omakase merita la nomina, con la trovata originale di un bizzarro controcanto parlato. Tolte le peculiarità di cui sopra, ogni brano acquista un suo significato, coprendo uno spazio emozionale diverso. My Light, My Destroyer (Dead Oceans) si conclude con due belle ballads, Tape And Tissue (un po’ Portishead) e Only One, seguite da un sereno strumentale di un minuto e mezzo, Hayley, perfetto come le tende scorrevoli di un sipario.
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