I Cowboy Junkies e il fascino dell’immutabilità.
Persi di vista dai tempi del folgorante successo di The Trinity Sessions (una chiesa, un solo microfono e un gruppo all’epoca quasi esordiente) in realtà i Cowboy Junkies hanno generato una lunga discografia, di qualità piuttosto alta ma troppo uniforme. Fin dal debutto con Whites Off Earth Now!! i fratelli Timmins (Margo alla voce, Michael alla chitarra, Peter alla batteria più Alan Anton al basso) hanno mischiato brani originali con rifacimenti di buon gusto: Bruce Springsteen, Lou Reed, Neil Young, Patsy Cline e così via… Per buon peso, nel 2011, la band canadese ha inciso un intero album dedicato alle canzoni del grande e sfortunato cantautore Vic Chesnutt, il bellissimo Demons.
All That Reckoning arriva dopo sei anni di silenzio discografico
Dopo sei anni di pausa dal precedente The Wilderness, i Cowboy Junkies si presentano con un album di originali, in studio, ma registrato dopo anni di incessanti esibizioni dal vivo, e si sente.. All That Reckoning si propone come un lavoro solido, forse anche solito, nel senso che nulla cambia nell’assetto delle composizioni, almeno all’inizio della scaletta. Pochi accordi di chitarra e basso, la voce che racconta con una intensità ormai riconoscibile, resa appena più aspra dal passare degli anni. Il disco prosegue più o meno così, con brani di ottimo spessore, avvolgenti e oscuri. Con Sing Me A Song però, entrano chitarre un po’ più acide e la batteria si lascia andare. In questa versione, la parentela con gli Walkabouts (quando la voce era quella di Carla Torgerson) si fa positivamente avvertire.
All That Reckoning chiude in crescendo, con l’omonimo brano (seconda parte) grondante di distorsioni elettriche e un incedere epico che può vagamente ricordare i Low. Il commiato è affidato a The Possessed, un delizioso episodio acustico per mandolino, voce e piccole percussioni che cita più volte il diavolo. Un personaggio che nel rock, si sa, c’entra sempre.
Be the first to leave a review.