David Gilmour - Luck and Strange

David Gilmour – Luck and Strange: era davvero necessario questo disco?

Andrò in controtendenza: Luck and Strange non è il miglior lavoro solista di David Gilmour, al contrario di quello che si dice con insistenza. Tanto meno il migliore che ha fatto da The Dark Side of the Moon, 1973, come l’ha sparata grossa a scopo promozionale per poi ritrattare. Prima, molto prima, ci sarebbero almeno tutti gli altri dischi dei Pink Floyd dell’ultimo mezzo secolo: compreso The Endless River, 2014. Tutt’al più si può discutere A Momentary Lapse of Reason, 1987, che non a caso sembra un album mal riuscito dello stesso David.

La carriera solista di David Gilmour prima di Luck and Strange

Un elemento essenziale di valutazione, sebbene non esclusivo, è il valore della musica: delle canzoni, quando ci sono. In questo senso il disco più bello della non indispensabile carriera solista di Gilmour resta On an Island, 2006, suonato poi dal vivo alla Royal Albert Hall in formazione con il compianto Rick Wright che sarebbe morto due anni dopo, Dick Parry (il sassofonista di The Dark Side of the Moon e Wish You Were Here), Phil Manzanera dei Roxy Music, David Crosby (1941-2023) e Graham Nash ai cori, ospiti David Bowie (1947-2016) e Robert Wyatt rispettivamente al penultimo e all’ultimo concerto della loro carriera. Pubblicato un anno dopo la breve ricostituzione dei Pink Floyd al Live 8, On an Island, nella sua pacatezza riflessiva, era pieno d’accenni epici orchestrali, echi malinconici, lirismo acustico. Tutto rimandava, con signorile discrezione adulta, alla caleidoscopica fase hippy della storia del gruppo, quella che da More arriva al film di Adrian Maben nell’anfiteatro di Pompei, deviazioni sinfoniche comprese.

Era un disco con un perché. Ce l’ha, un perché, Luck and Strange?

È nata una stella: Romany Gilmour

La ragione forse più importante per ascoltarlo è l’interpretazione che Romany Gilmour, ventiduenne figlia più giovane di David e di Polly Samson, fornisce di Between Two Points, secondo singolo pubblicato a giugno, misconosciuta e bellissima canzone del duo The Montgolfier Brothers risalente al 1999. Già quattro anni fa Romany aveva accompagnato il padre nella ballata d’atmosfera Yes, I Have Ghosts realizzata per A Theatre for Dreamers, romanzo della madre in versione audiolibro. In Between Two Points, però, è lei, un’affascinante e tenera mescolanza dei lineamenti britannici di David e anglo orientali di Polly, la protagonista. Da sola, la canzone vale almeno tutte le altre otto del disco che non è affatto brutto o trascurabile, ma che risente dell’ispirazione lenta e saltuaria d’un artista che, più che un autore o un compositore, è notoriamente un grande chitarrista.

In fin dei conti ci sarà una logica se, dopo la leggendaria Comfortably Numb nell’album The Wall, 1979, la cui versione definitiva deve alla testardaggine di Roger Waters che ne scrisse il testo, Gilmour ha fatto solo un’altra canzone capolavoro: High Hopes in The Division Bell, 1994, testo della Samson, che è anche la vetta più alta dei Pink Floyd senza Waters. Luck and Strange si ascolta volentieri ed è registrato splendidamente. La composizione che dà il titolo è tratta da una delle ultime sedute di registrazione, nel 2007, in cui Gilmour e Wright suonarono insieme, riproposta integralmente come bonus track nell’edizione su cd insieme a Yes, I Have Ghosts. Gilmour riflette a suo modo, nel testo della moglie, sulla fortuna e la stranezza di nascere nel dopoguerra ed essere stato giovane negli anni Sessanta: «Proprio il momento d’essere un ragazzo, /maestri delle sei corde di un universo in espansione. /Era giunto il momento di esserne sicuri. /Librarsi e liberarsi dai confini della Terra».

Il pifferaio, una volta ancora

La copertina del disco, un’allegoria un po’ involuta e tetra sul tentativo effimero di fermare il tempo, è di Anton Corbijn, fotografo e regista olandese autore, tra l’altro, del film Control sulla storia di Ian Curtis (1956-1980), indimenticato cantante dei Joy Division. La sagoma buia dell’uomo di spalle con le braccia allargate mi ha fatto venire in mente la silhouette grottesca disegnata da Syd Barrett (1946-2006) per il retro di The Piper at the Gates of Dawn, 1967, l’album d’esordio dei Pink Floyd che è anche l’unico al quale David, che sostituì lo stesso Barrett l’anno dopo, non partecipa. Sarà un caso, ma quel titolo fa il paio con quello d’una delle canzoni migliori di Luck and Strange, scelta come primo singolo e pubblicata ad aprile, che riprende il tema del pifferaio magico. Se però quello di Barrett ai cancelli dell’alba introduceva un immaginario favolistico che incrociava i viaggi spaziali interiori della psichedelia, The Piper’s Call di Gilmour è un’invocazione a non vendere l’anima alle lusinghe e alle tentazioni, situazione che l’autore riuscì a scansare, con annesso abuso di alcolici e di cocaina, incontrando la Samson. «Ci siamo salvati a vicenda» ha detto la scrittrice a Rolling Stone commentando quella fase turbolenta della loro vita.

Un’altra canzone notevole è Sings, dove Gilmour esalta quella dimensione familiare che attraversa tutto il disco e che ha rappresentato un rifugio sicuro durante la quarantena. L’uomo che invecchia e riflette sullo scorrere del tempo e sulla sua fragilità mortale conserva la fiducia nel futuro. Delle cinque canzoni che restano, i due brevi strumentali Black Cat e Vita Brevis, una introduzione e un intermezzo, sono sostanzialmente irrilevanti. La movimentata Dark and Velvet Nights, terzo singolo pubblicato ad agosto, suona forzata. A Single Spark e la conclusiva Scattered, non prive di passaggi interessanti, sembrano talvolta dilatate in maniera autoindulgente senza risultare indispensabili.

I Pink Floyd, la reunion (im)possibile e l’AI

David Gilmour, nei giorni scorsi, si è presentato con la chitarra acustica in un pub dove Romany stava suonando e ha fatto insieme a lei Wish You Were Here, la canzone dei Pink Floyd simbolo dell’assenza e dedicata a Barrett. Il settantottenne chitarrista, a partire dalla fine di questo mese, suonerà a Roma, Londra, Los Angeles e New York con un gruppo formato da Ben Worsley alla chitarra, Guy Pratt al basso, Greg Phillinganes e Rob Gentry alle tastiere, Adam Betts alla batteria, Louise Marshall nonché Hattie e Charley Webb ai cori. Romany, che studia a Londra, dovrebbe partecipare ad alcuni concerti come voce solista. Gilmour sarà al Circo Massimo il 27, 28, 29 settembre e l’1, il 2, il 3 ottobre. Quei concerti saranno i soli nell’Europa continentale, preceduti da quelli a Brighton il 20 e il 21 settembre.

Il fatto che i tre componenti viventi dell’antico gruppo, nonostante l’età (Gilmour è il più giovane), siano abili e arruolati per suonare dal vivo, peraltro con grande riscontro di pubblico come hanno confermato le tournée di Roger Waters e di Nick Mason, suscita naturalmente il rimpianto della nostalgia. Dopo le dichiarazioni ultimative sulla fine dei Pink Floyd nel 2006, Gilmour si è smentito pubblicando The Endless River e, due anni fa, il singolo Hey Hey Rise Up con il cantante ucraino Andriy Khlyvnyuk per sostenere la resistenza ucraina all’invasione russa. Per i prossimi concerti ha già annunciato che, come in passato, suonerà delle canzoni storiche del gruppo. Altrettanto fanno l’ottantenne Mason e l’ottantunenne Waters. Possibile che questi tre vecchietti non possano tornare a fare musica insieme?

Gilmour non ha chiuso la porta, sebbene sia aperta solo a Mason e non a Waters. I media hanno un po’ forzato la sua disponibilità a una reunion virtuale dei Pink Floyd (quali?) mediante ologrammi, come è avvenuto con gli Abba. David, riporta Rolling Stone, avrebbe detto: «Se qualcuno si presentasse con un sacco di soldi e di idee brillanti, e una volta accettata da parte nostra una serie di condizioni molto, molto difficili e pesanti, direi: sì, ok». Mason, invece, risolverebbe con l’intelligenza artificiale il problema dell’incomunicabilità tra Gilmour e Waters creando nuova musica dei Pink Floyd. Al Sunday Mirror ha dichiarato: «Sarebbe affascinante vedere cosa potrebbe fare l’intelligenza artificiale con la nuova musica. Se provassi a gestirla come una specie di: “Dove sono andati i Pink Floyd?”. La cosa da fare sarebbe avere una situazione d’intelligenza artificiale in cui David e Roger diventano di nuovo amici».

Waters, a sua volta, a luglio ha dichiarato alla Reuters, che a maggio aveva raccolto la disponibilità di Mason alla reunion: «Sono occupato a fare altre cose». Nella fattispecie, un nuovo album intitolato provvisoriamente The Bar e un libro di memorie. Il diniego «non ha nulla a che fare con il rancore o altro» perché «le persone sono diverse». Infine: «Io e David siamo persone molto, molto diverse e va bene così».

Money, it’s a gas

Resta aperta la questione della vendita del catalogo musicale dei Pink Floyd, uno dei più ambiti. Due anni fa si parlava d’una proposta di cinquecento milioni di dollari e di potenziali acquirenti che andavano dal Blackstone Group alle case discografiche Warner e Bmg. In seguito, i litigi tra Gilmour e Waters avrebbero irrigidito le posizioni, raffreddando le trattative.

Il primo ha recentemente dichiarato a Rolling Stone che «se ne sta ancora discutendo». In particolare: «Il mio sogno è non essere coinvolto in decisioni come queste e nelle discussioni che ne derivano. Se solo le cose fossero diverse… E poi non m’interessa dal punto di vista finanziario. M’interessa solo che la cosa esca dal pantano in cui si trova da un pezzo». Il problema sarebbe «che ci sono tre persone che dicono di sì e una che dice di no». Va da sé che le tre sarebbero lui, Mason e il referente degli eredi Wright, l’altra Waters.

La questione del denaro è sempre stata importante. Non a caso la gestione del chitarrista, mediocre e talvolta imbarazzante per l’aspetto creativo e artistico, è stata invece eccellente per i guadagni, soprattutto da tournée dove si è smesso di sperimentare o di voler dire qualcosa per privilegiare il soddisfacimento commerciale delle aspettative e la gratificazione personale dei musicisti, primo fra tutti lo stesso Gilmour. In precedenza l’inesperienza della gioventù, unita all’inaspettato successo planetario di The Dark Side of the Moon che rese ricchi dei ragazzi non ancora trentenni, li aveva costretti a lasciare il Regno Unito per la Francia. Avvenne nel 1978 a causa del fallimento d’una società d’intermediazione.

A salvarli dalla bancarotta fu il tanto vituperato Roger Waters che realizzò The Wall e riuscì a terminarlo entro la fine del ‘79. Wright, benestante di suo, fu estromesso dal gruppo, consenziente Gilmour che avrebbe voluto mandar via anche l’oggi inseparabile Mason, perché non rinunciò alle vacanze estive piuttosto che lavorare alle sue parti di tastiera in cambio dei maggiori proventi se fossero riusciti a terminare il disco in tempo affinché fosse nei negozi a Natale. Da allora l’unico album all’altezza dei migliori del passato l’ha realizzato Waters nel 1992 con l’epocale Amused to Death, in tutto e per tutto dei Pink Floyd tranne che per l’assenza di Gilmour, Wright e Mason. Neanche un maestro come Jeff Beck (1944-2023) poteva però cancellare l’emozionante tocco del chitarrista la cui presenza, insieme a quella degli altri due, avrebbe reso quel lavoro ancora più grande.

È proprio la consapevolezza che da solo Waters resta Waters, mentre Gilmour e Mason insieme possono anche chiamarsi Pink Floyd ma al massimo possono somigliare a una tribute band, che alimenta la tenue, improbabile speranza per una futura reunion. Magari senza impianti scenografici galattici, ma con lo stile e la pacatezza che proprio David Gilmour, al suo meglio, ha saputo indicare.

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Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

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