Davy Graham - He Moved Through The Fair - The Complete 1960s RecordingsCherry Red

He Moved Through The Fair: gli anni d’oro dello straordinario chitarrista Davy Graham.

La vita insolita, interessante e non troppo fortunata di Davy Graham (1940-2008) è andata di  pari passo con un’arte  parimenti insolita, interessante e non troppo fortunata. La prima è stata raccontata dal radio-documentario BBC Whatever Happened To Davy Graham?, da tempo purtroppo indisponibile. Quanto all’arte, reperibili con discreta fatica (e sostanziosa spesa nel caso dei vinili) sono stati per decenni i suoi album. Al secondo dei due guai pone oggi rimedio He Moved Through The Fair – The Complete 1960s Recordings, che raccoglie in otto cd tutte le incisioni del periodo più creativo del musicista.

David Michael Gordon Graham, nasce in Inghilterra da padre scozzese e madre guyanese, dunque è internazionale fin dalla culla. Consequenziale quindi che i suoi gusti di giovane musicista abbraccino il jazz, il blues, il folk. Un filino meno consequenziale è che la sua abilità alla chitarra acustica fingerstyle si sposi a un’instancabile ricerca  sonora. È lui  a inventare, letteralmente, l’accordatura  DADGAD che sarà il punto di partenza per tutto il folk inglese legato alla chitarra acustica e influenzerà Bert Jansch, John Renbourn (e con loro i Pentangle), John Martyn, Ralph McTell, Roy Harper, Al Stewart e persino l’ospite d’oltreoceano nella Soho del 1965 Paul Simon.

L’incredibile (nel bene e anche nel male) storia di Davy Graham

Senza saper leggere uno spartito, Graham assimila la musica marocchina sulle montagne del  Rif (prima di Brian Jones) e quella turca per le strade di Istanbul per poi innamorarsi dei raga indiani. Fa tutto questo con un approccio fra il metodico e il visionario: “gli armonici indiani sono difficili da sentire  a meno che tu non ti trovi in una stanza con copertura sfera e comunque rimanendo a non più di un metro-un metro e mezzo dallo strumento”. Chissà se George Harrison mai se ne accorse…

Con lo spirito onnivoro tipico del suo tempo, ma con una genialità fuori da ogni tempo, Graham fonde tutto questo, e molto altro (jazz, blues, folk),  nei suoi brani e persino all’interno di uno stesso brano. Lo dimostra la celebre rivisitazione strumentale di un classico del folk irlandese,  She Moved Through The Fair, che viene trasferita da Dublino a Bangalore per poi tornare a Dublino e avanti e indietro così. Tempo dopo il Nostro verrà definito “l’uomo che ha inventato la world music” e c’è da immaginare che l’associazione con quell’effimera moda cultural-esotica non gli sia piaciuta.

Il gusto per l’esplorazione lo porta a intraprendere anche viaggi pericolosi: intorno al 1966 comincia scientemente ad assumere eroina perché così avevano fatto giganti del jazz quali Charlie Parker e Charles Mingus. La scelta, anziché portarlo schiudergli nuovi orizzonti sonori, lo chiude nel ghetto  di un’inaffidabilità comportamentale che gli fa a poco a poco perdere contatto – salvo effimeri ritorni – con l’ambiente musicale (*). Un paio di comunque apprezzabili lavori fine anni ‘70 vengono pubblicati a nome Davey Graham.

He Moved Through The Fair: il caleidoscopio sonico di Davy Graham

I primi tre cd del cofanetto rappresentano al meglio il caleidoscopio di idee che vorticano nella mente e sulle dita di Graham. Nel primo cd figurano l’ammaliante strumentale Angi, la sua composizione più celebre, e l’album d’esordio The Guitar Player che si dedica  con entusiasmo onnicomprensivo  a rivisitare classici del jazz (Take Five), del rhythm & blues (Hallelujah, I Love Her So) e anche del pop (Cry Me A River). I capolavori arrivano con le due opere successive.

Folk , Blues & Beyond… (cd 2) cambia orizzonti e spazia dal folklore nordafricano (Maajun) a quello scozzese, rivisita il blues (Cocaine) e il primo Bob Dylan (Don’t Think Twice, It’s Alright) attraverso  un’inventiva strumentale stupefacente e in grado di mettere in secondo piano i limiti di una voce opaca e poco personale.

Album in teoria tutto d’un pezzo è invece Folk Routes, New Routes (cd 3), inciso insieme alla cantante folk inglese Shirley Collins. Il repertorio è in massima parte proveniente dalla tradizione inglese o nordamericana, Collins canta con il suo timbro limpido in grado di evocare immediatamente i verdi paesaggi del Sussex, Graham ci mette il resto del mondo – inclusa l’escursione nel Maghreb di Rif Mountain –  e il risultato affascina proprio per questa sua capacità straniante di far sentire l’ascoltatore in più luoghi contemporaneamente.

La seconda metà del decennio

Midnight Man (cd 4), Large As Life And Twice As Natural (cd 6) e Hat (cd 7) abbandonano quasi del tutto la tradizione folklorica, si muovono in un godibile e sempre lievemente peculiare ambito jazz e rhythm & blues e ammiccano al mercato ‘giovanile’ dei Beatles e della nuova canzone d’autore, rivista anch’essa con tratti insoliti (si ascolti la Both Sides Now di Joni Mitchell). I riscontri commerciali continuano a non brillare, anche perché permane il problema della scarsa incisività del canto. Forse per questo negli ultimi lavori del decennio – The Holly Kaleidoscope e Godington Boundry (entrambi nel cd 8) entra in scena la cantante americana, nonchè all’epoca moglie di Graham, Holly Gwyn. I risultati sono sfuocati e a tratti persino di maniera, anche perché Gwyn ha un timbro vocale abbastanza rigido in stile folk revival primi anni ‘60.

Resta da dire di After Hours At Hull University 4/2/1967 (cd 5), testimonianza non troppo in alta fedeltà di un rilassato dopo-concerto studentesco fra commenti a voce alta, esclamazioni di stupore per le magie strumentali di Graham e, facile immaginarlo, tanto fumo di sigarette convenzionali e non. Those Were The Days, diceva la canzone…

Qualche piccola critica alla confezione

Chiaro che di fronte a una riproposta così importante e sostanziosa da parte della sempre benemerita Cherry Red fare i pignolini è quasi disdicevole, tuttavia dispiace che le copertine originali vengano riproposte sulle singole buste in minuscolo formato tre centimetri per tre. Poi c’è il problema dei nomi degli strumentisti, menzionati solo se presenti negli lp originali. Infine è un po’ curiosa la scelta di spalmare i 20 pezzi del Live At St. Andrews Folk Club 8th May 1966 alla fine dei cd 4, 6 e 7. Poi però basta mettere nel lettore Folk, Blues & Beyond… o Folk Roots, New Routes per dimenticare tutto quanto.

(*) Chi scrive ricorda di avere ascoltato Davy – anzi ormai era Davey – Graham nel 1980 durante un tour con John Renbourn e Stefan Grossman. Suonava in modo svogliato e senza particolari guizzi, ma soprattutto annunciava un pezzo per poi proporre tutt’altro, non si sa se per ironia o alterazione di qualche tipo: “Vi farò un tradizionale scozzese”  e attaccava Yellow Man di Randy Newman. Con il senno di poi possiamo dire che forse non voleva essere lì, forse della musica ormai gli importava poco.

Davy Graham - He Moved Through The Fair - The Complete 1960s Recordings
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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