Bertrand Cantat e Pascal Humbert presentano Détroit.
Sobrio, malinconico, a tratti cupo: il ritorno alla musica di Bertrand Cantat non avrebbe potuto suonare altrimenti; e il fatto che suo compagno nei Détroit sia Pascal Humbert (dei 16 Horsepower, tra le altre band delle quali ha fatto parte sulla scena americana) non serve ad alleggerirne l’atmosfera. Non è cambiata, la voce di Cantat, dopo tanti anni di silenzio (se si trascurano le parentesi in progetti altrui), il che ovviamente porta a un paragone immediato con i Noir Désir. Paragone peraltro non fuori luogo, perché lo sfondo di rock classico, di canzone d’autore, di panorami sonori e visuali americani di Horizons era condiviso dalla vecchia, rimpianta band di Cantat.
Il rapporto fra Détroit e Noir Désir
Diversi episodi (Ma Muse, Glimmer In Your Eyes, Le Creux De Ta Main, Null And Void) non avrebbero stonato nel repertorio dei Noir Désir: ma il sentimento di sfida, di leggerezza rock’n’roll degli episodi più noti della band qui non si possono trovare. Des Visages Des Figure, l’ultimo disco nel lontano 2001, potrebbe essere il paragone più prossimo, ma da Horizons non ci si può aspettare nulla che somigli a quella Le Vents Nous Portera il cui successo sembrava poter far affermare i Noir Désir persino in Italia. Prima delle tragedie delle quali non parleremo e che comunque Tomtomrock ha trattato altrove.
Horizons non è un disco facile
Insomma Horizons non è un disco facile: il fatto che sia balzato subito in cima alle classifiche francesi e che le prime cinque date annunciate in un teatro di Parigi siano andate sold out in una manciata di minuti parla della voglia dei fans di ritrovare Cantat, più che del suo potenziale commerciale. Eppure, questo disco oscuro conquista e ripaga la pazienza di più ascolti.
Ange De Desolation e Droit Dans Le Soleil sono meditazioni incisive, Terre Brûlante rinvia alla vecchia passione di Cantat (nonché di Humbert) per i Gun Club, Horizon, densa di riferimenti alla vita in prigione, è carica di tensione trattenuta a stento e che esplode solo per un attimo; senza dimenticare la rilettura conclusiva del classico Avec Le Temps di Léo Ferré: una canzone che, nell’ intervista rilasciata a Les Inrockuptibles, Cantat dice esser stata una sua ossessione da quando aveva quindici anni e una necessità nel presente. Ed è infatti una versione lacerante, fedele all’originale e al contempo innovativa con la sua base elettronica riuscitissima, perfetta conclusione per un ritorno importante e quasi inaspettato.
8/10
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