Stumpwork è il secondo album dei trendissimi Dry Cleaning
Ancora un paio di mesi e la copertina di Stumpwork si troverà a essere candidata fra le più belle e, contemporaneamente, le più brutte del 2022. Impresa non da poco, ma guardare per credere. Quanto alla musica contenuta in questo secondo album dei Dry Cleaning, anch’essa pare colpire nel segno, almeno a giudicare dalle recensioni già uscite in mezzo mondo.
È indiscutibile che il quartetto londinese le sta azzeccando tutte. La formula voce recitante-musiche inquiete gode da qualche anno di grande attrattiva, come dimostrano IDLES e Black Country, New Road. Rispetto alla rabbia full frontal dei primi e al tripudio di tormenti dei secondi, i Dry Cleaning di Stumpwork (4AD) sfoggiano modi più distaccati, ancor più evidenti rispetto all’opera prima New Long Leg.
I Dry Cleaning sanno essere affascinanti…
Di primo acchito l’album attrae per gli impeccabili suoni tra post-punk e post-rock, caratterizzati da una tensione sempre ben controllata e, ovviamente, dalla recitazione impassibile e dai testi fascinosamente oscuri della poetessa prestata alla musica Florence Shaw. Chi ascolta finisce per sentirsi socio di un club di anime colte e poetiche in un mondo sciatto che sta diventando un Conservative Hell, come recita il titolo di uno dei pezzi dell’album. Ammettiamolo, dati i tempi non è una brutta sensazione. A volte la musica accompagna o sottolinea la narrazione, a volte sembra andare per conto proprio, salvo ritrovare la sintonia al momento opportuno. Nei passaggi più drammatici, ad esempio Hot Penny Day, l’effetto è davvero notevole.
…ma in Stumpwork non tutto è perfetto
Sembrerebbe un totale trionfo, non fosse che alla fine il disco risulta un po’ monocorde, specie quando le chitarre girano su se stesse senza troppe motivazioni. Poi c’è la sensazione che i Nostri vogliano sembrare interessanti a tutti i costi e si sa che l’interesse troppo razionale svanisce in un paio di ascolti. Infine resta il dubbio che un suono simile rischi di diventare rapidamente risaputo, si trasformi in formula. Una via d’uscita la propone il breve brano intitolato Gary Ashby, tenero addio a una tartaruga domestica, dove una Shaw più coinvolta del solito accenna a qualcosa che somiglia al canto: l’effetto è strano, eppure non privo da fascino. Provaci ancora, Florence.
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