L’album meno introverso di Earl Sweatshirt da qualche tempo: Sick!
Forse la tendenza si sta invertendo, chissà: i dischi di un’ora e più sono difficilmente ascoltabili. O forse, semplicemente, Earl Sweatshirt è uno che ama fare le cose a modo suo e Sick! (Tan Cressida) lo conferma, magari esagerando, visto che dura meno di 25 minuti. Un EP, si sarebbe detto un tempo, ma queste cose ormai non hanno più molta importanza. Dieci brani, a volte più complessi e lunghi, a volte sotto i due minuti, seguendo ormai il trend di tutti i suoi dischi dopo gli esordi.
Odd Future, Tyler e Doris sono lontani
Lo ammetto, rimpiango il tempo di Doris (ormai il lontano 2013), quando Earl Sweatshirt sembrava il rapper migliore uscito da Odd Future, più promettente di Tyler, The Creator. Inutile dire che le cose sono cambiate, Tyler ha coronato il suo sogno di classifica, Earl lo ha rigettato e ha intrapreso un cammino sempre più introverso, dove la complessità delle rime, dalla costruzione poetica di alto livello, viene accompagnata da un flow volutamente uniforme, quasi inespressivo. È uno stile, certo, ma il problema più grosso, confermato anche da Sick!, è che rispetto alle basi il vocale sembra andare completamente per suo conto: più spoken words che rap, più un poeta su una base che un musicista.
I momenti migliori del disco sono anche i più complessi
Rispetto a Rap Songs, e soprattutto rispetto all’ancor più autistico Feet of Clay, Sick! mostra un Earl Sweatshirt maggiormente coinvolto. In particolare nei due momenti centrali, Vision e Tabula Rasa, o nella conclusiva Fire in the Hole, qualcosa cambia e il rapper sembra prestare attenzione alla musica, chissà, magari anche al suo pubblico. Più che sperimentale, Feet of Clay era parso punitivo. Con Sick! non siamo proprio fuori dal tunnel dell’introversione, ma qualcosa si muove nella direzione giusta.
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