EELS TIME! ci restituisce il classico male di vivere di Mark Oliver Everett, ma con piccoli cambiamenti.
Il fine ‘900 musicale è un periodo ricco di belle cose quando si parla di autorialità problematica associata all’indie rock. In tale ambito si fanno notare a partire dal 1996 Mark Oliver Everett, in arte E, e i suoi Eels. Everett proviene da una famiglia ricca con padre famoso: Hugh Everett III, fisico statunitense primo teorizzatore degli universi paralleli. Famiglia ricca sì, ma segnata da lutti e tragedie; nel 1998, quando esce il secondo album Electro-Shock Blues, Mark/E ha 35 anni ed è già solo al mondo. Inutile dire che le sue canzoni – a volte sommesse, a volte più movimentate, altre volte ancora quasi arrabbiate – saranno sempre caratterizzate da una visione del mondo assai depressa e veicolata da una voce doverosamente lacerata.
Gli Eels e un suono ormai classico
Lo stile degli Eels – che passo passo dopo sono diventati sempre più sovrapponibili a E – è dunque parecchio riconoscibile e non è che sia molto cambiato nel corso del tempo, al punto che, recensendo ne 2022 Extreme Witchcraft, Tomtomrock lo descrive come lavoro ormai di maniera. Per non parlare della sensazione di trovarsi di fronte a un enciclopedismo del malessere. Il quindicesimo album EELS TIME! (E Works/ Play It Again Sam) non è che proponga grandi cambiamenti come illustra, ad esempio, il programmatico ritornello di Goldy: “Non è buffo che l’unica cosa di cui ho bisogno sia un pesce rosso che nuota in una boccia?”.
Qualcosa cambia in EELS TIME!
Eppure EELS TIME! coinvolge molto più dei precedenti. Intanto i pezzi sono quasi sempre ben strutturati melodicamente e suonano completi anche con arrangiamenti essenziali, come nel caso di Time e We Won’t See Her Like Again, che fanno pensare a un nipote timido di Cat Stevens. Ci sono momenti quasi pop come Sweet Smile e And I Run (dove sembra esserci la mano di Van Dyke Parks) e anche quando i nervi tornano scoperti (Lay With The Lambs) il tocco è più lieve rispetto al passato.
Considerando che qua e là (in particolare in If I’m Gonna Go Anywhere) si parla d’amore in termini persino rassicuranti, l’effetto complessivo è quello di un lavoro che accoglie anziché respingere. C’è una difficoltà del vivere con cui ci si può confrontare anziché provare la sensazione di venire travolti da una valanga di sfighe. L’impressione è che Everett abbia alzato lo sguardo e abbia visto, oltre al pesce rosso, anche qualche porzione di cielo passabilmente azzurra. Ma, inutile dirlo, le nuvole sono sempre pronte a coprire tutto.
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