El Khat - Mute

Il trio El Khat pubblica Mute.

El Khat è un trio di ebrei yemeniti trasferiti a Jaffa. Da un anno si sono stabiliti a Berlino, ma il nomadismo è un po’ il loro tratto distintivo: “Non credo di essere mai rimasto in un posto per più di un anno” ha dichiarato il polistrumentista e leader Eyal el Wahab. Il terzo album Mute fa riferimento nel titolo al silenziamento di cui è vittima chi è costretto a fuggire e vivere in un paese straniero, come è accaduto alle famiglie ebree arabe giunte in Israele. Sono canzoni che “Parlano di relazioni e della lotta per vedere due lati come un tutto e non qualcosa che finisce con il silenziamento e il conflitto. Le canzoni qui parlano di vecchi amori, patria, famiglia. Parlano di sentimenti e identità”. Proprio per superare una visione schematica del mondo in perenne conflitto fra il bene e il male El Khat ricerca “quel ‘tutto’ in cui tutti ci completiamo a vicenda” e condanna quanto sta accadendo a Gaza.

La musica del nuovo disco, sempre per Glitterbeat Records

Se andiamo alla musica essa è tutt’altro che muta, anzi è scintillante, energica, trascinante, ricca di sonorità e ritmi diversi, influenzata dalla musica araba e ovviamente da quella ebraico-yemenita, un paesaggio sonoro lussureggiante. Sposa il lo fi con i tanti strumenti creati con oggetti in disuso: latta, metalli, legni, plastiche tutto può servire a fare musica accanto a strumenti tradizionali come violoncello, organo, fiati, percussioni. Accanto a Wahab che canta e si cimenta in una miriade di strumenti ci sono il percussionista Lotan Yaish e l’organista Yefet Hasan, ma partecipano anche la tromba di Iby Ibn Yakir in due brani e la voce di Katrin Lasko in un altro. Il disco esce come il precedente per la Glitterbeat Records.

El Khat – Mute: per superare le barriere culturali

Mute si apre con Tislami Tislami, suoni metallici, flauti in stile gnawa, la voce aspra e tagliente di Wahab creano ritmi sghembi e irregolari, il testo parla di un uomo abbandonato dalla donna, ma allude alla situazione esistenziale di chi è costretto a spostarsi e emigrare. La tromba è protagonista della saltellante e circolare La Wa-La sempre in bilico fra clima festoso e tensione emotiva, in un minuto Tabi Yamani è un tripudio di percussioni. Suoni sferraglianti e sghembi, apparentemente sconclusionati come un’orchestrina improvvisata nell’ironica e giocosa Lothar Commando, dedicata al batterista della band, confermano l’estrosità della band nella sua capacità di muoversi fra tradizione e sperimentazione, mentre Almania, nome arabo per Germania, è uno strumentale di stordente psichedelia, il disco si infiamma nei suoi ritmi e sonorità orientali scandite da tastiere e trombe e si chiude con gli otto minuti frenetici e ipnotici di Intissar, ma il suo finale malinconico si lega alle tematiche cupe di un disco che nasce anche riflettendo sui tormenti del presente.

Anche il disco di El Khat, il nome fa riferimento alla droga che si mastica in Arabia, conferma il buon fiuto dell’etichetta Glitterbeat, ma anche come oggi le cose spesso più vitali vengano fuori da esperienze di nomadismo, di superamento delle barriere, culturali, politiche e musicali, da contaminazioni e dalla capacità di saper coniugare la tradizione con la contemporaneità sperimentando linguaggi nuovi.

El Khat - Mute
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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

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