Everything Everything – A Fever Dream

Quarto album in studio per il gruppo di Manchester capitanato dall’eclettico front man Jonathan Higgs. A Fever Dream giunge a due anni di distanza dall’acclamato Get To Heaven (ottimo il singolo Distant Past) e consolida la già buona posizione della band.
Stravaganza e ribellione naive
Già nei precedenti lavori gli Everything Everything si erano distinti per un genere particolarmente articolato e peculiare. Siamo nell’ambito di quel che si suole chiamare art-pop o glitch-pop. Quindi un insieme abboccato, ma allo stesso tempo ricco di sfumature stralunate, elettroniche e campionature piacevolmente accattivanti.
Dunque il ricco edificio musicale è stato costruito album dopo album e oggi si può dire che il gruppo britannico ha completato un percorso che li rende riconoscibili. La cura per i testi inoltre è sempre stato un aspetto che Higgs e compagni hanno sempre avuto a cuore. La follia della contemporaneità e i danni delle brame di potere sono temi che ricorrono nel loro variegato universo.
Il problema, se c’è, è che l’argomento rischia di essere abusato. E’ difficile fare denuncia attraverso la musica se non si trovano nuove “parole per dirlo”. Il rischio è quello di risultare a tratti naive.
A Fever Dream: la formula è collaudata
A Fever Dream, musicalmente parlando è probabilmente il disco più maturo della band d’oltremanica. Undici nuovi brani dove l’esperienza precedente viene messa a frutto nel migliore dei modi. L’album è un’iniezione di energia che si caratterizza per la varietà delle soluzioni melodiche adottate e per la tecnica che non fa una piega. La produzione è affidata a un grande nome: James Ford, noto per aver lavorato con Arctic Monkeys, Foals o Depeche Mode.
L’inizio è magniloquente. I brani scelti per il lancio di A Fever Dream però non sono i momenti migliori dell’intero lavoro. Desire e Can’t Do piaceranno a tutti, ma in qualche modo è come volersi garantire una vincita facile. Il disco diventa interessante più avanti. Lasciate le atmosfere troppo piene, e i ritornelli da stadio dell’apertura (a rischio eurovision-song-contest-style), arrivano sorprese di livello superiore.
La title Track parte con solo piano e voce in falsetto per poi aprirsi in un insieme di ampio respiro e un lungo refrain corale decisamente azzeccato. Good Shot Good Soldier è un altro titolo particolarmente Una strizzata d’occhio all’r’n’b all’inizio per poi rilasciare un cantato che ricorda i Coldplay nei momenti migliori. Da segnalare ancora Put Me Together dove l’andamento easy listening si impreziosisce arrampicandosi su improvvise quanto piacevoli soluzioni melodiche. In conclusione: operazione riuscita soprattutto quando le atmosfere si fanno più intime e le soluzioni “piacione” non sono troppo presenti.
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