Woodland: la musica per superare il disastro di Gillian Welch e David Rawlings.
Vivono e lavorano insieme da più di 30 anni, eppure questo è solo il secondo album accreditato a Gillian Welch e David Rawlings come duo. Il primo era stato nel 2020 All The Good Times, raccolta di cover emblematiche del campo d’azione della coppia: da Bob Dylan a John Prine, da Elizabeth Cotten a Johnny Cash. Il naturale seguito doveva essere, in tempi brevi, un lavoro di canzoni originali, invece è arrivato il disastro. Il Covid-19, direte voi. Sì, ma quello c’è stato per il mondo intero. Per i nostri invece si è aggiunto il malus tutto personale del tornado abbattutosi su Nashville il 3 marzo 2020 che ha semidistrutto i loro Woodland Studios. Salvataggio e ricostruzione sono stati impresa immane andata di pari passo con l’incisione dell’album che, come rivincita contro la malasorte e benaugurante segno di ripartenza, è stato intitolato proprio Woodland.
L’insolita arte di Welch/Rawlings
A guardarli e, soprattutto, ad ascoltarli i nostri due eroi parrebbero originari di qualche isolata comunità rurale rimasta ferma nel tempo alle pendici degli Appalachi oppure due traileristi nel grande vuoto del Texas occidentale. Le note biografiche raccontano storie di altro tipo. Welch nasce a New York, si trasferisce da piccola a Los Angeles con genitori adottivi che lavorano nel mondo dello spettacolo, poi va a Boston a frequentare il Berklee College of Music dove incontra e sposa Rawlings, proveniente dal civilizzato New England. In entrambi i casi la passione per Woody Guthrie, Carter Family, Stanley Brothers e altre figure fondamentali delle radici sonore statunitensi nasce dall’ascolto, un po’ epifanico un po’ strutturato, delle loro incisioni discografiche.
Fra i due il nome più noto è quello di Welch, nei cui album – l’esordio intitolato Revival è del 1996 – appare tuttavia decisivo il contributo strumentale di Rawlings che nei lavori da solista si fa a sua volta aiutare dalla moglie. Di questo inestricabile legame umano e artistico Woodland rappresenta oggi il coronamento.
Woodland e le novità rispetto al passato
La struttura compositiva non cambia rispetto al passato: ballate acustiche strutturate su due chitarre che scorrono rilassate e fluide e danno l’idea di essere state scritte al riparo di un classico portico da casa di campagna. Poi ci si accorge del filo dal colore indefinibile che sagoma insoliti disegni sulla stoffa chiara di classici paesaggi americani, come il treno merci carico di cielo nell’inquieta Empty Trainload Of Sky o il grande fiume che si prosciuga nella decisamente apocalittica The Day The Mississippi Died.
Dunque, quanto a contenuti, restiamo nell’ambito della consolidata classicità folk di Welch e Rawlings. La novità è data dai suoni: è come se i due, una volta tratti in salvo i Woodland Studios, avessero voluto utilizzarli al meglio. Ecco allora arrangiamenti semplici ma curati in ogni dettaglio e, addirittura, accompagnamenti ritmici abbastanza corposi, tocchi di pedal steel, violino e banjo, persino interventi orchestrali, per poi ritornare in diversi momenti alla consueta essenzialità. Su tutto le due voci che a volte si alternano e a volte si confondono (d’altra parte dopo tutto questo tempo…). L’insolita magia di album come Hell Among The Yearlings, Time (The Revelator) o Poor David’s Almanack resta immutata, ma è veicolata in modo più ‘divulgativo’ , o forse è solo il sereno dopo la tempesta.
La canzone che lascia il segno
Se il livello compositivo è notevole dall’inizio alla fine – ormai si può parlare di autorevolezza autoriale – vale la pena soffermarsi sul brano Hashtag per almeno tre motivi: il titolo per nulla campagnolo, la melodia struggente e la dedica a un maestro della canzone d’autore americana, Guy Clark: “Hai riso e hai detto che le cattive notizie sarebbero state/ Se avessi visto il tuo nome con un hashtag/ I cantanti come te e me fanno notizia solo da morti”. Dai, non dite così, sono in tanti a volervi bene e dopo Woodland potrebbero essere ancora di più.
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