Cracker Island, la nuova isola di Damon Albarn e dei Gorillaz.
Quando la canzone Cracker Island è emersa all’inizio della scorsa estate, si è appreso che il nuovo disco dei Gorillaz non sarebbe stato il seguito di Song Machine, Season One, ma qualcosa di diverso. Certamente qualcosa di meno collettivo, di meno ‘mixtape’ rispetto al precedente, più ancorato alla scrittura del solo Damon Albarn. Non che questo nuovo LP sia un progetto solista: vero è che la band ormai si è ridotta a lui, al produttore/batterista Remi Kabaka Jr. e – ma per i video e l’artwork – a Jamie Hewlett, ma continua la tradizione di tenere i Gorillaz come un laboratorio di sperimentazioni con mondi differenti. In Cracker Island la scrittura è in larga parte condivisa con il noto produttore e multistrumentista Greg Kurstin, nonché con vari ospiti.
Dopo l’Islanda del suo disco solista, Damon Albarn per i Gorillaz sbarca in California, dov’è idealmente ambientato Cracker Island con le sue isole di matti e di stanchi influencer. Il tema dell’isola, già caro all’immaginario della band, qui è fondamentale, poiché apre con la title track (con l’ottimo basso di Thundercat) e chiude con Possession Island in compagnia di Beck. Non manca la narrazione legata ai cartoons dei quattro personaggi, anche se evidentemente nel corso della più che ventennale carriera dei Gorillaz, la novità di un tempo è un po’ persa. Almeno per noi adulti, ma va tenuto conto che i Gorillaz, nonostante gli anni di Damon & Co., esercitano un notevole appeal sui bambini.
La regina della Thailandia
Il tema della gioventù, della fiducia sulle possibilità che essa esprime ancora oggi, come sempre, è pure molto presente nel disco. Baby Queen, uno dei momenti migliori di Cracker Island, è dedicata a un episodio della vita del Damon Albarn pre-Gorillaz e ancora Blur. Ne ha parlato in un’intervista, quella famigerata per il presunto (?) diss di Taylor Swift: Sto scrivendo e registrando una canzone che parla di un incidente avvenuto quando ero in Thailandia e ho incontrato la principessa ereditaria. Era il novembre del ’97. All’epoca aveva solo 14 anni, venne a vederci e, a causa del ruolo molto specifico che la famiglia reale ricopre in Thailandia, le misero un trono accanto al mixer per farla sedere, circondata da non so quanti soldati. È iniziata “Song 2”, lei è salita sul trono e si è tuffata sul palco tra la folla. Il motivo per cui ho scritto una canzone a riguardo è che ho sognato questa principessa molto di recente; era cresciuta e abbiamo trascorso del tempo insieme nel mio sogno, lei come donna. Quindi ecco qua: il 1997 è stato molto tempo fa, ma al momento non lo è più.
Un paio di sorprese
Con i suoi 37 minuti, Cracker Island è un gioiellino pop nel quale Damon Albarn riversa tutto il suo passato e lo attualizza, proprio come nel sogno. Inarrivabile nel pop scintillante e al contempo malinconico ch’è ormai il suo marchio di fabbrica (ascoltate Silent Running con Adeleye Omotayo, ormai presenza fissa del team Gorillaz), riserva pure due sorprese. La prima per gli old timers è un duetto incalzante con Stevie Nicks, intitolato Oil. La seconda per i più coraggiosi è Tormenta con un Bad Bunny sensuale as usual che canta tutta la canzone (Albarn introduce soltanto) su un beat reggaeton decostruito.
https://youtu.be/_0Pf48RqSsg
Fila talmente tutto liscio in Cracker Island che mi chiedo se non sia anche eccessivamente liscio, se i Gorillaz odierni non siano cioè una macchina troppo perfettamente rodata, e non ho una risposta. Poi la conclusione sognante al fianco di Beck con l’intermezzo di fiati mariachi mette tutto a posto: a volte è meglio non farsi troppe domande e godere di quello che abbiamo.
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