Un cantautore raffinato: Houdini Righini – Lascaux.
Houdini Righini è il moniker di Giuseppe Righini, assunto quasi subito dopo l’uscita – ormai cinque anni fa – del suo terzo album solista, intitolato appunto Houdini. Attivo sulla scena musicale dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso in gruppi come Sin-é e Hype, inizia l’avventura solista nel 2008 con l’album Spettri Sospetti.
Fin dai suoi esordi cantautoriali Righini si è sempre caratterizzato per una grande ricercatezza sia nei testi che nella musica. Una ricercatezza fatta anche di reminiscenze letterarie pienamente assimilate e riproposte con una sensibilità tutta personale che rifugge da ogni sfoggio e inutile complicazione. Insomma, una raffinatezza “semplice”: o, se preferite, una “semplicità” raffinata. Denominatore comune dei testi ci sembra l’amore in tutte le sue molteplici accezioni e manifestazioni, tanto carnale quanto spirituale: fino a sfiorare talvolta perfino una dimensione definibile in senso lato come “religiosa”.
I contenuti del disco
Si ascolti in questo senso Polvere, amaro ridimensionamento delle umane pretese di onnipotenza. Ma è un amore di cui si lamenta soprattutto la mancanza; talvolta perfino l’impossibilità di attingerlo. Ed è una mancanza lamentata non solo nei rapporti interpersonali, ma anche verso l’ambiente in cui viviamo. Ma l’amore, nelle sue varie accezioni, resta componente indispensabile della vita, come è reso evidente da Ora Che Ci sei, pezzo in cui per quasi sette minuti si ripete come un ossessivo mantra, scandito da un ritmico battito di mani, “Ora che ci sei / non andare via”. E a proposito di “mantra” non si può non segnalare il brano di apertura – scelto anche come singolo – Con Le Mie Mani, nel quale Righini declama i suoi versi sul doppio tappeto di un’elettronica “rumoristica” e gracchiante e di una sorta di Om Ah Hum buddista.
Houdini Righini – Lascaux: un disco diverso dai precedenti
Musicalmente il disco si presenta abbastanza diverso dal precedente Houdini. Certo l’elettronica, affidata a un “mago” del genere come Franco Naddei, la fa ancora da padrone; ma stavolta si tratta di elettronica abbastanza “suonata”, nella quale anche le chitarre si ritagliano spesso una parte non del tutto secondaria.
In Satantango è invece il piano di Pieralberto Valli a disegnare atmosfere primo-novecentesche non lontanissime da certe composizioni di Debussy o dalle Gymnopédies di Erik Satie. E da certe atmosfere classicheggianti non si sottrae neppure il piano di Giacomo Toni nella ghost track Dai Dai Dai. In Dormi invece è il lungo recitativo in tedesco di Alexa Ivrea, che si inserisce in un tappeto sonoro dominato dalle percussioni elettroniche, a conferire al pezzo un aria vagamente da cabaret espressionista. Un’altra bella prova per Righini, che conferma la maturità della sua scrittura e la sua capacità di padroneggiare e rendere duttile la sua voce: che sa essere di volta in volta flebile, accorata, graffiante e altro ancora.
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