L’australiano Hugo Race e l’italiano Michelangelo Russo di nuovo lungo le acque del Delta.
Ancora l’infaticabile Uomo di Melbourne in uno dei suoi numerosi avatar. Dopo aver recentemente “resuscitato” con ottimi risultati i suoi The Wreckery, Hugo Race torna a rendere corresponsabile di una sua opera il sodale Michelangelo Russo, ormai cooptato anche all’interno dei suoi fidi True Spirit fino dal doppio album Star Birth/Star Death.
Difficile sfuggire alla tentazione di paragonare 100 Years (Gusstaff Records) con il precedente disco firmato a due nomi ormai sette anni fa in cui rivisitavano alla loro maniera il blues di John Lee Hooker. Non a caso il titolo era John Lee Hooker’s World Today. Qui si ha la sensazione che siano stati come smussati certi angoli, forse in omaggio allo spirito originario del bluesman del Delta. In questa nuova fatica del duo ci pare invece che si siano fatte confluire nel disco anche le altre esperienze musicali di Race in tutti questi sette anni. E non solo quelle più marcatamente caratterizzate dall’elettronica, come il già citato Star Birth/Star Death o come il quasi mistico Dishee.
La musica inquieta di 100 Years
Nell’iniziale title track tanto il cantilenante riff della chitarra quanto il modo in cui Race modula la sua voce sembrano mostrare più di una somiglianza con l’ultimo lavoro dell’australiano con i suoi Fatalists, Once Upon A Time In Italy. Ma ovviamente si potrebbe capovolgere il tutto sostenendo che era questo ad essere impregnato delle precedenti esperienze marcatamente elettroniche. L’impressione è in ogni caso confermata, almeno all’inizio, anche dalla successiva
Earths Answer. Subito dopo, però, è Eternal City – un talking blues di quasi nove minuti – che spiazza e finisce col costituire il tono dominante dell’intero disco: un tono cupo, crepuscolare, tra malinconia e pessimismo, dal quale peraltro non mancano di emergere momenti che lasciano intravedere qualche possibile via d’uscita.
Questa alternanza di sentimenti – o, se preferite, di stati d’animo – è in qualche modo adombrata anche nei titoli dei quattro episodi successivi: Good Times, Help Me Somebody, Lost Children e War Outside My Window. Proprio quest’ultima – non a caso con i suoi sei minuti e mezzo la seconda in ordine di lunghezza – riprende l’atmosfera quasi angosciosa di Eternal City e sembra quasi volerci togliere quel poco di speranza che, sia pur raramente, pare ogni tanto mettere fuori la testa.
Il mondo secondo Hugo Race
Quello in cui viviamo, secondo Race, è un modo oscuro e minaccioso, ma la sua “visione” non pare tuttavia improntata a un pessimismo t0talmente privo di speranza, forse anche a causa di quella sorta di misticismo laico al quale sembra essere approdato in questo periodo della sua vita. Musicalmente al primo ascolto si viene certo colpiti dal predominio dell’elettronica ma, aldilà dei suadenti quanto inquietanti “tappeti” che Michelangelo Russo stende in sottofondo, l’elemento a nostro avviso caratterizzante è costituito dai riff effettati della chitarra di Race, che aprono in questi tappeti squarci spesso tanto discreti quanto profondi. La sua voce, come sempre, fa il resto.
Hugo Race, Michelangelo Russo – 100 Years
8
Voto Redattore
9
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