Indimenticabile nei Can, lo è altrettanto l’Irmin Schmidt solista.

Sto per spegnere il mac, mi viene voglia di risentire il nuovo disco di Irmin Schmidt, classe 1937, ex Can. Blocco la chiusura al volo, lo metto su. Parte la traccia Klavierstücke I.
L’ho sentito e risentito, non è un disco da un ascolto e via, ho avuto bisogno di masticare più volte i suoni e gli spazi tra uno e l’altro.
Non riuscivo a capire esattamente cosa mi smuovesse. Perché qualcosa smuove, c’è poco da fare.
Klavierstücke, un disco che scandisce il tempo
Ho realizzato. È questione di tempo, non i 4/4, non quello meteorologico.
Ogni traccia scandisce, in modo quasi impalpabile ma costante, il tempo.
Suoni che ricordano un pendolo, un fruscio che evoca il vento (forse lo è) che gradualmente assume i connotati di un loop analogico, ripetitivo come un metronomo, con una cadenza discendente, steel drum in 5/4 e si materializza un mantra. Naturale visualizzare i secondi di un oroglio: tic tac-tic tac…
Irmin Schmidt fra passato e presente
Nella scansione metodica del tempo si sovrappone il pianoforte, parla con tante voci diverse: leggero, stridulo, soave, dissonante, accogliente.
Un disco espressionista, tedesco, in bianco e nero. A momenti c’è anche la nebbia, il cappotto chiuso con il bavero alzato e il cappello. Forse c’è anche una sigaretta.
Klavierstücke un disco in crescendo
Il disco è in crescendo, parte in lenta espansione, ellittico, si condensa verso la fine, con suoni più fitti, per dilatarsi ancora e finire come è iniziato, con molti vuoti e pochi pieni.
Il richiamo a John Cage è forte. Per alcuni potrebbe risultare un disco indigesto, per me vera ambient.
Be the first to leave a review.