La carriera di Isobel Campbell fino al presente There Is No Other.
Quando lasci una band e i fans si riferiscono alle epoche del gruppo segnando un “prima” e un “dopo” di te, vuol dire che su quella formazione avevi un peso non indifferente. Ma nonostante si continui a considerare il periodo dal 1996 al 2002 come l’epoca d’oro dei Belle and Sebastian, Isobel Campbell ha in qualche modo faticato a costruirsi una autonoma carriera di egual clamore all’indomani del suo abbandono.
Se i primi due album usciti con la sigla The Gentle Waves tra il 1999 e il 2000 restano piccoli classici dell’indie-folk dell’epoca, i due successivi a proprio nome (Amorino e il disco di traditionals folk Milkwhite Sheets) non avevano avuto egual impatto, e dopo i tre comunque ben venduti dischi in collaborazione con Mark Lanegan, la Campbell è uscita di scena. There Is No Other rompe quindi 10 anni di silenzio, pare non del tutto volontario, se è vero che il disco sarebbe dovuto uscire già qualche anno fa per una etichetta che è fallita proprio nel momento clou, prima che la Cooking Vinyl venisse in suo aiuto.
Tira aria di California
L’album riflette anche le novità della sua vita sentimentale, visto che è prodotto con il nuovo marito Chris Szczech, conosciuto proprio durante le session dell’album Hawk con Mark Lanegan nel 2010, che l’ha convinta a trasferirsi da Glasgow a Los Angeles. E l’aria della California si sente eccome in queste tracce, che conservano la flemma da dream-folk da Highlands scozzesi che resta il suo marchio di fabbrica, ma che ingloba anche una serie di sonorità più soul da America profonda. Potremmo quasi definirlo il suo “American Album” insomma, e quella cover di un brano di Tom Petty arriva quasi a confermare questa idea, una Runnin’ Down A Dream che dall’energico heartland-rock tutto riff e sudore dell’originale, si trasforma in una lenta cavalcata onirica da techno-pop, dopo che l’iniziale City of Angels ci aveva subito immerso nel suo magico mondo notturno tra grilli e archi.
There Is No Other prova riuscita per la brava Isobel Campbell
Le tracce sono tredici, equamente divise tra episodi puramente folk come Vultures, Rainbow o See Your Face Again, a reminiscenze dei Belle and Sebastian che furono di Ant Life o Just For Today, con l’aggiunta di strutture gospel-soul come The Heart Of It All o Hey World o esperimenti orientali (The National Bird OF India). Nel finale, dopo le intense Boulevard e Counting Fireflies, a Below Zero basta anche solo un verso come “Tired of all the bullshit” per riportare addirittura l’avvertenza di un “Explicit Lyric” ad un testo che chiude con la macabra immagine di un uomo sepolto dalla neve nella sua macchina un disco poeticamente triste e ben definito, che sebbene non stravolga la sua abituale proposta musicale, la rinfresca e aggiorna in maniera convincente. Valeva la pena aspettare dieci anni insomma.
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