Jake Blount - The New Faith

Jake Blount e l’afrofuturismo apocalittico di The New Faith

Un personaggio parecchio indaffarato Jake Blount: una laurea in etnomusicologia messa al servizio di studi sulla tradizione musicale afromericana degli Appalachi, una passione per il banjo che lo ha portato a fondare  una società chiamata Bluegrass Pride (in teoria sarebbe roba da WASP…), l’attivismo LGBTQ e, ultimi ma non meno importanti, un ep  e due album a proprio nome.

Oltre a farne tante di cose, Blount in quelle cose ci mette pure grande impegno. Ecco allora che questo  secondo lavoro di lunga durata, The New Faith Smithsonian Folkways Recordings), è un concept album corposo sotto ogni punto di vista e di ascolto. La parola chiave è “afrofuturismo”, ma con dentro tanta musica nera del passato: Sister Rosetta Tharpe, Mahalia Jackson, Blind Willie McTell, Skip James, antichi canti di schiavi, registrazioni sul campo di Alan Lomax. Il presente invece è rappresentato dal rapper Demeanour (il narratore della vicenda), guarda caso nipote di un’altra artista impegnata nel dialogo sonoro fra passato e presente, Rhiannon Giddens. E molto moderno nella sua limpidezza è anche il lavoro di produzione di Brian Slattery e dello stesso Blount.

Fonti d’ispirazione e temi di Jake Blount – The New Faith

Ispirato al romanzo di Octavia Butler, La Parabola del Seminatore (ma si direbbe anche a La Strada di Cormac McCarthy), The New Faith racconta – in tre capitoli – la storia di un gruppo di sopravvissuti a una catastrofe bellico- ambientale e del loro drammatico viaggio verso un’isola nel Maine che rappresenterà  la sopravvivenza, ma anche una sorta di ghetto (la storia che si ripete…). Nel corso del viaggio a fare da collante spirituale, da punto di riferimento  sono le canzoni, canzoni dove la richiesta di sopravvivere alla morte è, inevitabilmente, il tema fondamentale, la “nuova fede” che dona il titolo al lavoro.

Blount racconta come l’album sia nato dal grande senso disperazione causato dalla pandemia e da una conseguente visione del futuro poco o nulla serena (come dargli torto?). L’ascolto è però tutt’altro che angosciante; la musica fila via che è una meraviglia e, se l’intento era quello di sottolinearne la forza salvifica, il risultato è raggiunto in pieno. E quando, verso la fine, arriva l’invito “Fratello, non abbandonare il mondo”, ci si sente davvero meglio.

Album eccellente The New Faith, ma con una piccola pecca

Solo un appunto si può fare a The New Faith: è troppo perfetto, troppo pensato (persino per la copertina c’è mezza pagina di spiegone), troppo concentrato nel veicolare un messaggio così tanto importante. Chissà se in futuro Jake Blount potrà cambiare, saprà lasciarsi andare un po’ di più per  diventare il passato e non solo rappresentarlo (come riusciva al primo Ry Cooder, ad esempio). Ma possiamo tranquillamente tenercelo così visto che è pure un tipo simpatico e con un’idea d’abbigliamento tutta sua.

Jake Blount - The New Faith
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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