Chicago, il jazz, Jeff Parker e Suite for Max Brown.
Sembra proprio che Chicago sia tornata ad essere uno dei luoghi pulsanti del jazz contemporaneo. Lo è stata agli albori, quando nel 1915 vi giunse Jelly Roll Morton, seguito dagli altri pionieri del jazz che lasciarono New Orleans in cerca di lavoro; e dopo la metà degli anni ‘60 quando intorno all’Association for the Advancement of Creative Musicians di Muhal Richard Abrams si sviluppò un formidabile movimento musicale.

Anche il chitarrista Jeff Parker è un membro dell’associazione e da sempre affianca al lavoro con i Tortoise (e con gli Isotope 217°, il gruppo formato con alcuni elementi della Chicago Underground Orchestra) un‘intensa attività di sideman e di solista. Suite for Max Brown è infatti il suo sesto album, il secondo inciso per l’emergente etichetta chicagoana International Anthem, quella che con musicisti come Jaimie Branch e Makaya McCraven ha riportato The Windy City al centro dell’attenzione dell’universo jazz.
La scrittura di Jeff Parker fra omaggi e novità
Nella ‘tradizione’ del post-free chicagoano, Parker ha dichiarato di non essersi seduto al pianoforte con carta e matita per cimentarsi con la scrittura secondo schemi prestabiliti, bensì di aver provato a sfuggire il consueto e il conosciuto.
Il che non significa rinnegare il passato, ma reinterpretarlo alla luce della contemporaneità. Se Otis Redding è solo un fugace fantasma in C’mon Now, con un sampler da The Happy Song (Dum-Dum), John Coltrane è omaggiato con una splendida versione di una delle sue più belle ballad: After the Rain. Una rilettura con un quartetto composto Paul Bryan al basso, Josh Johnson al piano elettrico e Jamire Williams alla batteria, che ripercorre quella che ne fece John McLaughlin in un album di qualche anno fa tutto dedicato al sassofonista. In Gnarciss invece, con il gruppo arricchito dal violoncello di Katinka Kleijn, dalla tromba di Rob Mazurek e dalla batteria Makaya McCraven, l’omaggio è a un altro grandissimo tenore della storia del jazz, Joe Henderson, di cui si riascoltano estratti da Black Narcissus.
Jeff Parker – Suite for Max Brown è la sorpresa di questo inizio 2020
A esclusione della cavalcata furiosa e solitaria di Fusion Swirl, Suite for Max Brown è un disco molto intimo e personale. Apre con Build a Nest, con la figlia Ruby che canta l’unico testo dell’album, come già accadeva nel precedente The New Breed (“Tutti si muovono come se avessero un posto dove andare / Costruisci un nido e guarda il mondo che scorre lentamente”) e chiude con Max Brown (il cognome da nubile della madre), delicato acquarello impreziosito dalla tromba di Nate Walcott dei Bright Eyes oltre che da Josh Johnson all’alto. I brevi intermezzi di Metamorphoses, Lydian e Del Rio, il blues di 3 for L o la gioiosa poliritmia di Go Away confermano l’impressione di trovarci a uno degli album più interessanti di questo inizio 2020. E se volete aggiungere jazz sentitevi liberi di farlo!
Be the first to leave a review.