The Art Of The Lie e il ritorno (troppo?) rassicurante di John Grant.
The Art Of The Lie è il sesto album in studio di John Grant, una delle figure più originali e sfaccettate del panorama musicale contemporaneo. Statunitense di stanza in Islanda, Grant ha conquistato pubblico e critica nel 2010 con un debutto, da solista, con cui continua a fare i conti. Il disco in questione era l’intenso Queen Of Denmark, che usciva dopo dieci anni di militanza negli Czars e una pausa artistica di un lustro. Nei lavori successivi John Grant ha elaborato la cifra stilistica dell’esordio fino a raggiungere una completa maturità artistica (diciamo pop più elettronica più nervi scoperti) con Boy From Michigan esattamente tre anni fa.
Oggi è tempo di bilanci e di, eventuali, consacrazioni. The Art Of The Lie (Bella Union) non lascia dubbi sulle capacità dell’autore nel saper confezionare un prodotto di indiscutibile qualità. Il “ragazzo del Michigan” utilizza il suo consueto baritono narrativo in diverse forme: dal downtempo, all’artpop inserendo parti per sintetizzatori e vocoder. Il risultato è un perfetto distillato da tutto ciò che si desidera da un disco di John Grant, che anche stavolta, ha chiamato alla produzione un personaggio di tutto rispetto: Ivor Guest (Grace Jones, Beyoncé, Lana Del Rey).
Le nuove canzoni
Annunciato da due singoli, che non rappresentano i momenti migliori, It’s A Bitch e All That School For Nothing, l’album si snoda tra percorsi conosciuti dando il meglio nella prima parte. La triade formata da Marbles, Father e Mother And Son vale l’intero lavoro grazie a un azzeccato mix elettronico ed evocativo, la summa perfetta tra passato e presente. Proseguendo, striscianti pattern di batteria elettronica caratterizzano la sensuale Meek AF. Altri momenti più tranquilli funzionano in modo meno efficace: la ballata Daddy si sviluppa troppo lentamente, e faticosamente, su un rullante dai toni marziali. Tuttavia, The Art Of The Lie è un disco accorato e pieno di pathos per un artista in grado di giocare con generi musicali diversi mantenendo intatto il proprio stile distintivo, affrontando temi complessi, a tratti molto personali, con coraggio e umorismo.
John Grant promosso anche quest’anno, quindi, con una sola riserva per le prossime tappe: un po’ più innovazione, rispetto a un passato – e anche a un modo di essere artista – decisamente ingombrante certo non guasterebbe.
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