Due artiste dalle carriere consolidate uniscono le forze: Julien Baker & Torres – Send A Prayer My Way.
Send A Prayer My Way nasce da una collaborazione avviata circa un anno fa da due artiste dalla carriera ormai consolidata: Julien Baker & Torres. Sono entrambe cantautrici e fanno parte di un segmento vagamente alternativo del genere. Torres, nome d’arte di MacKenzie Scott, ha sei dischi all’attivo, oltre a collaborazioni di rilievo come quella con Sharon Van Etten per il formidabile Are We There del 2014; Julien Baker, ne conta solo tre, cui va aggiunto quello uscito come Boygenius, The Record. Quest’ultimo progetto è un trio/supergruppo che comprende le colleghe Phoebe Bridgers e Lucy Dacus.
Un disco country
L’unione di forze tra Torres e Baker cerca di dare un volto pienamente country a Send A Prayer My Way (Matador), come era nelle intenzioni, ma non riesce a rinnegare l’origine indie delle due songwritresses (la responsabilità di questo neologismo è tutta a mia carico). L’impegno è stato totale: banjo, violino, pedal steel danno il giusto colore alle canzoni, e il perfetto blend delle due voci (le classiche harmonies) è un trademark del genere. Nei testi però saltano all’occhio considerazioni più interessanti. Ciò vale soprattutto per la bella Tuesday, dove si racconta di un innamoramento lesbico ferocemente stroncato, con parole di fuoco, da una madre omofoba. Tutt’altro tema per Sylvia, canzone firmata dalla Torres, dove la dedica, non chiarissima nel testo, è per il proprio cane (ovviamente una femmina).
Si poteva sperare in qualcosa di meglio
Poco più di questo emerge da Send A Prayer My Way dove c’è più ombra che luce, almeno per l’orecchio europeo meno avvezzo al country & western. Occorre aggiungere che Torres ha voluto fortemente questo disco, fin dal 2016, quando le due cantautrici condivisero un palco; forse per questo sembra assai più a suo agio rispetto alla Baker, il cui repertorio, come nel notevole Little Oblivion (2021) spesso approda ad altri e meno confortanti lidi.
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Fausto Meirana
Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.