Riparlare di Keith Tippett fa bene al cuore e alla musica.
«Keith era innanzitutto un caro amico. Era una persona generosa, meravigliosa e, naturalmente, un genio, un vero artista». Così Max Marchini, fondatore e titolare dell’etichetta Dark Companion, rievoca il versatile pianista inglese Keith Tippett (1947-2020), uno di quei grandi artisti che non ebbe mai un vasto successo di pubblico, ma la cui impronta eclettica resterà, nel tempo, nella storia della musica.
Molti lo conoscono per le giovanili incursioni nel rock: Robert Fripp gli chiese di entrare nei King Crimson per i quali suonò in tre album, in particolare illuminando, con le sue cascate di note, le immense suite Lizard e Islands. Quando morì, Fripp spese parole di grande commozione e sincerità: «Keith Tippett è uno dei tre musicisti della mia generazione che continua a influenzare e a guidare il mio pensiero musicale. La musica di Keith parla da sola. Forse meno nota è la statura di Keith come musicista etico, brav’uomo. Vola bene, fratello Keith! A te la mia gratitudine».
Il legame anche artistico di Tippett con sua moglie, la celebre cantante pop Julie Driscoll che proprio insieme a lui ridefinì stilisticamente il suo percorso, ha costruito pagine importanti della sua musica. Altrettanto quello con i musicisti pugliesi Pino Minafra e Roberto Ottaviano con i quali formò una band di venti elementi, i Canto Generale, o Viva la Black, di cui facevano parte Julie e il batterista Louis Moholo. «Dobbiamo tutti molto a lui perché abbiamo fondato la nostra etichetta con il suo assolo di pianoforte Mujician IV – Live in Piacenza, acclamato dalla critica, nel lontano 2015» precisa Marchini, riconoscente.
Suonare il labirinto
Il catalogo di Dark Companion ospita l’ultimo lavoro edito di Tippett, l’album Music for Labyrinths pubblicato quest’anno ma la cui registrazione, nella Palazzina Liberty di Milano, risale al 21 ottobre 2000. Il pianista britannico suona in trio con gli italiani Claudio Gabbiani alle chitarre elettriche e acustiche nonché Roberto Musci alle percussioni, al clarinetto basso, al didgeridoo che è uno strumento a fiato degli aborigeni australiani, alle percussioni, ai sampler, all’elettronica. Il disco, la cui prima stampa è stata un’edizione limitata di trecento cd per audiofili, viene presentato, coerentemente al titolo, come una colonna sonora per labirinti «nel mondo e dentro di noi».
Caratteristica del labirinto è la struttura chiusa e costruita in maniera da rendere arduo trovarne l’uscita. «Un labirinto è un simbolo antico che si riferisce alla totalità: combina le immagini del cerchio e della spirale in un percorso tortuoso ma significativo» prosegue Marchini. «Il labirinto rappresenta un viaggio verso il nostro centro e di nuovo fuori nel mondo. I labirinti sono stati a lungo utilizzati come strumenti di meditazione e preghiera. Un labirinto è un archetipo con cui possiamo avere un’esperienza diretta, è una metafora del viaggio della vita. È un simbolo che crea uno spazio e un luogo sacro e ci porta fuori dal nostro ego verso ciò che è dentro. Nel labirinto la scelta da fare è una sola: entrare o meno».
Viaggiare nel labirinto musicale di Tippett, Gabbiani e Musci significa muoversi nel magma atonale dove il pianoforte sviluppa un percorso erratico continuamente contrastato, assecondato o ignorato dall’elettronica, dagli inserti audio e dagli altri strumenti. È un incessabile entrare e uscire da nuovi mondi che intersecano i piani della realtà nei quali ci trasporta, di volta in volta, la deriva sonora, per un percorso continuo, in apparenza interminabile, di quasi cinquantacinque minuti diviso, nell’organizzazione che si è voluto dare al disco, in otto movimenti.
Elogio della musica di frontiera
La musica per labirinti è, a suo modo, musica di frontiera, come spesso Tippett ha scelto di fare. Ovvero pane quotidiano per musicisti eclettici e versatili come Gabbiani e Musci. Entrambi con studi di chitarra e di musica elettronica, hanno nelle loro esperienze professionali, rispettivamente, lo studio musicale per diffondere le nuove possibilità e le diverse tecniche compositive legate alle apparecchiature elettroniche per la generazione, la trasformazione e il trattamento nello spazio del suono, nonché la registrazione di musica etnica, lo studio e la raccolta di strumenti musicali etnici da tutte le parti del mondo.
La loro interazione con Tippett avviene in maniera spontaneamente visionaria ricordando, come approccio all’improvvisazione, un altro importante lavoro pubblicato da Dark Companion: quel gran disco che fu A Mid Autumn Night’s Dream, 2019, anche quella una esibizione dal vivo che vedeva insieme a Piacenza nel ‘16 lo stesso Tippett con sua moglie Julie e un ricercatore di suoni qual è Paolo Tofani, negli anni Settanta chitarrista degli immensi Area, più Lino Capra Vaccina, percussionista collaboratore di Franco Battiato nella fase elettronica ed egli stesso apprezzato sperimentatore. Si tratta di esperienze uniche, difficilmente ripetibili. Proprio per questo si apprezza la capacità e la volontà di registrarle e tramandarle attraverso un documento tangibile e accessibile.
Non si può non essere d’accordo con Marchini quando conclude: «Accogliamo questo album come una vera benedizione per l’anima. Addio caro Keith: la tua musica vivrà per sempre».
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