La Proxy Music di Linda Thompson: la necessità aguzza l’arte.
Proxy Music è il distillato della vita – una vita ricca di vicende intense, a volte drammatiche e, per fortuna, anche curiose – di Linda Thompson. E contigue alla sua ci sono altre vite che il disco delinea. Ma partiamo dal remoto inizio.
Breve storia di Linda Thompson
Sul finire degli anni ‘60 Linda Peters frequenta il vivacissimo circuito folk londinese. Con importanti esponenti di quel mondo partecipa all’album di cover rock’n’roll intitolato Rock On. Nel 1972 canta come corista in Henry The Human Fly, primo album solo dell’ex Fairport Convention Richard Thompson che sposa poco dopo.
Fra il 1974 e il 1982 Richard e Linda Thompson sono la coppia doom & gloom del folk-rock britannico. Le canzoni di Richard evocano un mondo plumbeo e la voce di Linda è perfetta nel delinearlo fondendo asciuttezza e partecipazione emotiva.
Il matrimonio finisce nel 1983 con una famigerata tournée americana, mentre la carriera solista comincia due anni dopo con il mezzo palsso falso pop One Clear Moment. Accade però una cosa importante: Linda comincia a scrivere canzoni. Accade anche che cominci a soffrire di disfonia spasmodica, un disturbo che le impedisce di cantare. Solo nel 2002 riesce a ristabilirsi abbastanza da incidere Fashionably Late con l’aiuto di amici e familiari (persino Richard!) a cui seguono altre rare e sempre apprezzabili uscite discografiche.
Il problema di salute non è comunque risolto, anzi la disfonia riprende vigore verso il 2020, al punto da indurre la musicista a una scelta inevitabile: affidare le sue canzoni ad altre voci.
Come nasce Proxy Music, copertina inclusa
L’idea fa pensare a un server proxy, quello che mette in contatto utente informatico e internet e che è servito come tramite fra Linda e coloro che cantano e suonano le sue canzoni, inviate per la registrazione a Londra o New York, a Reykjavik o in West Virginia. Ma Proxy Music fa pensare per forza di cose a Roxy Music e così la nostra decide di replicare la celebre copertina dell’opera prima di Bryan Ferry e compagni con se stessa – sorridente settantaseienne – al posto della modella Kari-Ann Moller. Il risultato è divertente, autoironico e rimette in gioco l’idea codificata della pin-up obbligatoriamente giovane.
La messa in opera della Proxy Music
Se nel 2014 l’album intitolato Thompson (2014) era una riunione di famiglia messa in musica, dieci anni dopo la dimensione è diventata plurifamiliare. L’ex marito Richard c’è sempre e ci sono i figli Kami e Teddy (produttore del lavoro), il nipote Zak Hobbs e il genero James Walbourne. È evidente che per Linda questo nucleo allargato sia stato di grande conforto nei momenti di oscurità e se l’album ha un tema è quello del ‘sangue’ come modalità specifica del fare musica. Ecco dunque i gemelli Reid, ovvero i Proclaimers, e le sorelle Rachel e Becky Unthank. Due pezzi sono cantati da Rufus e Martha Wainwright della tumultuosa famiglia Wainwright-McGarrigle, mentre Eliza Carthy fa da rappresentante per quel monumento folk che sono i Waterson-Carthy. Poi ci sono diversi nuovi amici fra cui spicca John Grant, convocato per musicare e interpretare un pezzo che buffamente porta il suo nome: “John Grant si è portato il mio cuore fino a Reykjavik/ Spero se ne prenda cura”.
Tutto concettualmente molto interessante, ma la musica?
In effetti se la storia fin qui narrata è senza dubbio affascinante, quello che conta sono le canzoni. Una prima considerazione: fosse stato cantato dall’autrice Proxy Music sarebbe apparso come un seguito di It Won’t Be Long Now, il precendente lavoro solista datato 2013, ovvero compostamente malinconico nella scrittura e nell’esecuzione e per questo elegantemente efficace, diciamo una versione folk del recente Fuse di Everything But The Girl. Chiaro che qui gli interpreti ci mettono del loro, come spiegano bene l’esuberanza di Eliza Carthy e il gusto un po’ camp di Rufus Wainwright. A riportare tutto a casa provvedono invece i i figlioli Kami – vocalmente molto vicina a Linda – e Teddy. A quest’ultimo si deve, anche come coautore, il passaggio decisivo del disco, Those Damn Roches. Prendendo spunto dalle sorelle Roches il brano cita tante famiglie musicali accomunandole in un commovente ritornello: “Bound together in blood and song/ Who can break us?/ When we are singing loud and strong/ Who can take us?”.
Per rispondere alla domanda con cui si apre il paragrafo si può dire che c’è molto amore in questo disco. E dato che, come dicevano i Beatles, di amore abbiamo bisogno, Proxy Music è proprio un bel disco. Chiaro che essere sentimentali e facili allo struggimento aiuta l’ascolto (tanto per dire un pezzo s’intitola I Used to Be Pretty), chi non lo è si perde comunque qualcosa.
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