Un atto di coraggio per Marlon Williams: Te Whare Tīwekaweka è un disco in lingua maori.
L’attore e musicista neozelandese Marlon Williams giunto al suo quarto lavoro, Te Whare Tīwekaweka, decide di realizzarlo nella lingua maori, a suggellare una sorta di ritorno a casa e alle proprie radici dopo un decennio che lo ha portato in giro per il mondo. Scelta non facile, ma profondamente sentita come ha spiegato Williams: “Ho trovato un modo per esprimere le mie gioie, i miei dolori e il mio umorismo in un modo che sembra sia distintamente nuovo ma che mi collega anche ai miei antenati e alla mia terra“. Certo sconta l’impossibilità per molti di comprendere le parole, se non affidandosi alle traduzioni, ma questa è ben superata dalla forte espressività della voce e degli arrangiamenti.
Un’opera personale ed evocativa
Del resto Te Whare Tīwekawekaè opera profondamente personale. Autoprodotta con Mark Perkins, vede la collaborazione della band Yarra Benders e del coro tradizionale maori He Waka Kōtuia. C’è anche Lorde in un delicato e incantevole duetto, Kāhore He Manu, oltre al rapper KOMMI in bizzarro dialogo col coro in Huri Te Whenua.
Musicalmente il disco ha una sua omogeneità nella forza evocativa della musica e del canto che ricordano le sonorità hawaiane di un Mike Cooper e che pervadono il disco di una vena malinconica e di un senso di profondità e lontananza oceanica. Non a caso la solitudine è al centro del primo singolo Aua Atu Rā con uno dei versi che recita: “Sono solo su questa barca nell’oceano”. Anche altri brani, come Pānaki, costruito su un arpeggio di chitarra, o Ngā Ara Aroha, introdotto da un rarefatto piano e accompagnato da archi e da un sommesso coro, o il canto a cappella che apre il disco, trasudano sentimenti di tristezza. Qui emerge un forte sentimento nostalgico, ma anche le radici folk e country della musica di Marlon Williams.
In Te Whare Tīwekaweka, Marlon Williams evita la monotonia
Nello spettro emotivo dell’album c’è spazio anche per canzoni più ritmate e meno intimiste, come nel caso del canto tradizionale Whakamaettia Mai, arrangiato come un bluegrass impreziosito dal gioco delle voci, o della rock ballad Kouru Pounamu, o ancora delle atmosfere giocose e conviviali di Korero Maori.
Del resto, sono ben quattordici le canzoni — peraltro brevi — contenute nel disco, del quale resta comunque protagonista la voce di Williams, che esprime forza emotiva e capacità di evocare molteplici sentimenti. A tratti ricorda Antony, sfruttando il suono di una lingua che, al di là del tratto esotico, alterna morbidezze ai suoni più duri di alcune consonanti.
“La lingua Maori è una finestra sul mondo Maori” recita un proverbio a cui Williams si è ispirato per realizzare un disco che apra alla conoscenza della musica e della spiritualità di un popolo di poche decine di migliaia di persone, ma con una sua cultura e una storia che ha molto da offrire.
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