Il viaggio musicale di Matana Roberts – COIN COIN arriva al quarto capitolo.
Su queste pagine ho da poco scritto del monumentale ultimo lavoro dei Land of Kush, big band di 24 elementi messa insieme da Sam Shalabi per una lunga cavalcata attraverso sentieri che intrecciavano musica occidentale e mediorientale. Ora lo stesso Shalabi lo ritroviamo fra i collaboratori della musicista di Chicago Matana Roberts, che, sempre per l’etichetta Constellation, ha mandato in stampa, quasi in contemporanea, il quarto capitolo del suo progetto COIN COIN.
È un lungo viaggio musicale: sono previsti ben dieci capitoli, nella storia, nella memoria, nella carne viva della vita di milioni di afroamericani. Ogni capitolo si sviluppa attraverso tematiche e stili differenti. Se nel precedente la Roberts aveva fatto tutto da sola, qui invece si avvale di quattro musicisti. Oltre al già citato Shalabi, ci sono Hanna Marcus, Nicolas Caloia e Ryan Sawyer, oltre a una manciata di ospiti.
La memoria e la lotta
Come ha dichiarato la stessa Roberts: «Parlo di memoria, canto una sopravvivenza americana attraverso strumenti a fiato, canzoni, tristezza, e talvolta gioia. Sono sulla schiena di molte persone, con così tanti diversi percorsi di vita e differenze, che non hanno mai avuto la possibilità di esprimersi come mi è stato dato il privilegio. In questi rendering sonori, celebro l’io, celebro il noi, in tutto ciò che è ora, e tutto ciò che deve ancora venire o sarà».
Il disco è ispirato alla nonna di Matana vissuta a Memphis dove ha subito le angherie e le discriminazioni di una brutale segregazione razziale, ma è diventata anche simbolo di ribellione e di voglia di lottare. C’è nei lavori di Matana Roberts, oltre a una forte e orgogliosa consapevolezza di sé anche il senso di essere parte integrante di una storia di emarginazione, ma pure di lotta e ribellione. Tanto che dopo averla ascoltata sembra di essere tornati ai tempi di Malcolm X e delle Black Panthers, data la forza comunicativa che riesce a imprimere alla sua musica.
Matana Roberts – COIN COIN è anche un viaggio fra generi differenti
Anche la musica non può che essere tumultuosa, ridondante, rabbiosa. Altro che catarsi. Non c’è spazio per la consolazione, non ci si può racchiudere dentro gli stilemi di un genere, si spazia invece dall’avant jazz, al noise, allo spoken word, al folk, al rock, tutto va bene purché sia funzionale all’urgenza espressiva e comunicativa. Non c’è sosta fra un brano e l’altro.
Si passa brutalmente dal free di Wild Fire Bare al caotico suono bandistico di Fit to Be Tied, dal canto corale e dark del gospel Her Mighty Waters Run alla recitazione drammatica e concitata di In The Fold su un tappeto inquieto di archi e un drone sordo di uno scacciapensieri, fino al caos sonoro caleidoscopico e ipnotico di Raise Yourself Up. Esemplare del modo di procedere della Roberts è la lunga Trails of the Smiling Sphinx, dove improvvisazioni free vibranti e rabbiose si alternano a droni di contrabbasso, violini irlandesi, sporken words in cui si affastellano memorie private e considerazioni politiche.
Una nuova frontiera del jazz
È grazie a lavori come questo e a quelli di artisti come i Land of Kush, Jaimie Branch, Kamasi Washington, Shabaka Hutchings che il jazz esce dalle accademie e dal mito dell’abilità tecnica, dove ha rischiato di finire negli ultimi anni, per ritornare sulle strade senza paura di sporcarsi le mani. Anzi confrontandosi con quanto si muove oggi nell’ambito della sperimentazione e della ricerca per esprimere attraverso la musica il disagio, la rabbia, la condizione di vita dell’uomo contemporaneo.
Be the first to leave a review.