Il viaggio del colombiano Albis Alvarez con il moniker Meridian Brothers partorisce Mi Latinoamérica Sufre.
Mi Latinoamérica Sufre continua il viaggio del colombiano Albis Alvarez dentro i molteplici stili musicali del continente sudamericano col progetto solista Meridian Brothers. Non solo cumbia, ma anche rumba, salsa, vallenato, poro sino a sfociare nell’highlife e nell’afrobeat o nel reggae. Naturalmente il tutto viene riletto in chiave non ortodossa ma personale con l’innesto di elettronica, psichedelia, rock e una predilezione per sonorità bizzarre e insolite che ne sottolineano il carattere ironico e umoristico. Come nei precedenti lavori anche qui Alvarez ha fatto tutto da solo, mentre dal vivo si fa accompagnare da una band – a proposito sarà in Italia in autunno. Il disco nasce da una collaborazione fra Ansonia Records e la Bongo Joe.
La storia narrata in Mi Latinoamérica Sufre
Mi Latinoamerica Sufre è un concept album con protagonista il pittoresco Junior Maximiliano Terzo, artista confuso che inizia godendosi la gioventù e trovare serenità attraverso l’uso di sostanze psichedeliche o l’avvicinarsi al folklore, ma, dileggiato dai colleghi, non trova quel che cerca, scopre anzi che il Caribe lo rende triste e le droghe non bastano più. Appare infine un personaggio immaginario che non fa che peggiorare la sua paranoia. Alla fine si rende conto che il suo paese è bello, ma la sua generazione è triste, si sente inutile e capisce che è lo Stato che lo ha reso tale e pretende che lo sovvenzioni per tante sofferenze. Una parabola che può esser letta come metafora di un continente travagliato e un personaggio che si lega ai molti picari non conformisti della letteratura latinoamericana.
America Latina e Africa si incontrano in Meridian Brothers – Mi Latinoamérica Sufre
Dal punto di vista musicale l’intento di Alvarez è quello di esplorare le potenzialità della chitarra elettrica all’interno dell’universo sonoro latino. Chi lo ha seguito sa come il suo approccio alla cumbia e al suono latino sia innovativo e sperimentale, qui in particolare lo interessano le connessioni con i ritmi afro. La sua chitarra suona limpida, senza distorsioni, detta spesso il ritmo in uno stile che trae ispirazione dall’highlife ghanese e dal soukous congolese, ma qua e là salta fuori anche qualche accenno di chitarra twangy. L’effetto, accoppiato a quel suo modo caratteristico di cantare, velatamente ironico e divertito, con continui cambiamenti di timbro vocale, secondo il momento narrativo, con frasi e parole ripetute più volte, è assolutamente irresistibile. Se a questo aggiungiamo la grande varietà dei ritmi che vanno dalla poliritmia dell’afrobeat a quelli dei vari ritmi latini, alla straordinaria inventiva di Alvarez che ci regala continui effetti sorprendenti, ecco che ci troviamo davanti a un’opera fresca, intrigante malgrado il sapore agrodolce del concept.
Infatti man mano che la vicenda di Junior Maximiliano mostra il suo velleitarismo e la sua fallimentare delusione anche le canzoni abbandonano la psichedelica briosità degli inizi e finiscono per assumere un mood più malinconico e ombroso. Non a caso una delle canzoni più belle si intitola En el Caribe Estoj Triste, quasi a ribadire la siderale distanza da quella dozzinale musica latina che soprattutto in estate dilaga sulle affollate spiagge dei nostri litorali. Ma anche nelle canzoni in cui prevale un sentimento di malinconia il senso di gioia e stupore per l’estro creativo del musicista colombiano non viene meno.
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