
Il ritorno dei Metallica con Hardwired … To Self Destruction supera le aspettative. A dire il vero nemmeno troppo elevate dopo le delusioni degli ultimi dischi.
I Metallica tornano ringiovaniti dopo qualche prova in tono minore
Dopo l’incredibile successo del “Black Album” ai Metallica è toccato uno strano destino. Le vendite sono esplose, ma agli occhi di tanti sono diventati una band ormai persa per sempre in un heavy di maniera: proprio loro che negli anni ’80 l’avevano rivoluzionato con un’infilata di album magnifici. Vero è che le ultime prove non erano state un granché. Il singolo St. Anger era sembrato promettente, ma il disco una grossa delusione; Death Magnetic era poco meglio; e poi c’è stato Lulu con Lou Reed: vilificato dai più. Bene allora aver preso una vacanza creativa di qualche anno dalla quale riemergono con questo Hardwired… To Self Destruction decisamente più in forma.
L’unico problema, diciamolo subito, è la sua lunghezza. Due dischi per poco meno di 80 minuti distribuiti su dodici canzoni, non tutte ugualmente indispensabili. L’edizione deluxe contiene anche un terzo cd con versioni live di loro pezzi celebri: Creeping Death e Fade To Black continuano a mettere i brividi. Ma anche in Hardwired ci sono diversi momenti che dal vivo di sicuro non sfigureranno.
Forse troppo lungo, Hardwired … To Self Destruction contiene alcuni brani all’altezza del glorioso passato dei Metallica
Intanto l’apertura intitolata proprio Hardwired, dal tipico suono compatto ch’è ormai un marchio di fabbrica della band, fa la sua figura. Si continua su toni pesanti e veloci con Atlas, Ride!, pure notevole. Ma l’apice del primo disco è dato da Moth Into Flame. La “falena nelle fiamme” è Amy Winehouse: James Hetfield ha dichiarato di averla scritta dopo aver visto il documentario a lei dedicato. E certo i Metallica, con Hetfield in testa, di dipendenze e problemi psichici qualcosa ne sanno, come aveva mostrato anni fa Some Kind Of Monsters. Canzone veramente ispirata, con un grande lavoro di chitarra di Kirk Hammet, Moth Into Flame rinvia ai Metallica d’annata.
Anche nel secondo disco non mancano le perle. In particolare la lunga Here Comes Revenge, trash metal con improvvise staffilate di velocità, è cupa e melodicamente perfetta. Forse la migliore della raccolta. Mentre la conclusiva Spit Out The Bone picchia senza pietà, con la ritmica a mitraglia, altro marchio di fabbrica targato Metallica. Hardwired non avrebbe potuto concludersi meglio.
Anche se non tutti ameranno ammetterlo, con questo disco il quartetto torna a essere rilevante. Vero che forse i loro classici migliori resteranno ancora quelli degli anni ’80. Ma non è forse vero per una band ancora molto seguita dal vivo come i Cure? Che pure non incidono un disco decente da un pezzo. Su Harwired ci sono almeno quattro-cinque canzoni che accanto ai classici suoneranno proprio bene. E conviene accontentarsi, perché quanto a rock pesante non è che ci sia questa grande concorrenza in giro.
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