Conferma ad alto livello per il ‘maestro’ Michael Chapman.

Ecco, non si vorrebbe portar male a Michael Chapman, però è vero che il suo True North ricorda You Want It Darker, pubblicato da Leonard Cohen pochi mesi prima di salutarci. Lo ricorda per asciuttezza emotiva, pacata oscurità di tono, ricerca delle tarde luci della vita. Come Cohen anche il settantottenne Chapman è da tempo definito ‘ maestro’ con attestati di stima da parte di artisti fra loro piuttosto diversi quali Elton John e Sonic Youth.
La differenza è che Chapman è assai meno noto del suadente canadese e lo si potrebbe definire un perfetto esempio di ‘cult musician’ o di musicista per musicisti. Non a caso, True North è prodotto da un fan di vecchia quale il chitarrista statunitense Steve Gunn.
Il fascino essenziale di True North
Voce rasposa e laconica, chitarra allenata da blues e jazz: il nostro era così nel primo album Rainmaker (1969) ed è così oggi. Nel mezzo ci sono stati momenti umanamente difficili (il troppo bere degli anni ’90) e artisticamente sorprendenti (la rinascita nel nuovo secolo come chitarrista sperimentale e d’improvvisazione). C’è stato anche 50, il disco “americano” di due anni fa che ha definitivamente riportato Chapman all’attenzione di molti appassionati.
True North è persino migliore di 50, più essenziale e meditativo. Davvero lo si può immaginare scritto da qualcuno che abita in mezzo al vento della Cumbria, a due passi dal Vallo di Adriano. Ci sono due strumentali e nove canzoni; di queste quattro sono inedite, sette provengono dall’ampio repertorio del musicista. I cerchi profondi della chitarra acustica caratterizzano le composizioni e su di essi si innestano chitarra elettrica (Steve Gunn), violoncello (Sarah Smout) e un’incredibile pedal steel ‘ambient’ (il veterano BJ Cole). In un paio di pezzi compare anche la voce di un’altra antica combattente fra il fumo dei folk club inglesi a fine anni ’60: Bridget St John.
Unicità di Michael Chapman
Possiamo dire che Michael Chapman si è infine ritagliato un ruolo davvero unico nella scena musicale odierna: quello del maestro di chitarra e di vita. Un maestro disilluso ma costruttivo (“Se non hai ciò che vuoi, devi volere ciò che puoi avere”- Bluesman), che fa il serio pensando ai giovani spreconi di gioventù (Youth Is Wasted On The Young) e che, alla fine, ride di se stesso nel quasi cajun di Bon Ton Roolay: “Sono arrivato a casa, ma non so come”.
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